Autismo, convegno internazionale a Ponte. «Serve una reale integrazione»

«Guardare le serie tv che parlano di autismo o accendere le città e le fontane di blu un giorno all’anno vuol dire prendere consapevolezza che esiste questa tematica, ma da lì ad una reale integrazione e ad un lavoro che includa tutti i ragazzi con diversi funzionamenti il passo è lungo».

Su questo hanno condiviso le due ospiti di eccezione, al convegno internazionale “Autismo società lavoro”, Lalli Howell, psicologa specializzata in autismo di Brighton (Regno Unito), e Simonetta Lumachi, pedagogista clinica esperta in autismo di Genova. Se rispetto al passato c’è una maggiore conoscenza del disturbo dello spettro autistico – i dati, in Italia, parlano di un bambino con autismo nato su un totale che va da 68 a 80 neonati - per la sensibilità c’è ancora molto fare. Peraltro diverse le casistiche dalle persone non verbali più compromesse alle persone con alto funzionamento, come è stato detto all’incontro e confronto ospitato al teatro di Vittoria di Ponte in Valtellina all’interno di “Ponte in fiore”, la rassegna promossa dalla biblioteca “Libero Della Briotta”.

Howel ha sottolineato, in particolare, l’importanza della continuità nell’affrontare il percorso come è stato con la famiglia Folco, di cui è stata raccontata la storia. «Quando mi sono trovata di fronte a Chiara da bambina con davanti tanto lavoro da fare, mai mi sarei sognata che potesse arrivare oggi, a 24 anni, ad essere una ragazza molto in gamba, un’artista stupenda, intellettualmente capacissima, certo con difficoltà sociali che ci saranno sempre. Chiara è aiuto-educatore alla Philos, accademia pedagogica di Genova, che segue 300 famiglie, un esempio di struttura attenta all’inclusione e al portare i ragazzi verso un’occupazione. Specialmente con le persone autistiche più compromesse è fondamentale trovare la strada giusta a livello occupazionale». Fin da piccoli è necessaria una diagnosi precoce, quindi un intervento precoce con le strategie giuste, dettate dalle guide internazionali che suggeriscono le valutazioni più opportune da bambino a bambino.

La testimonianza della famiglia Folco è divenuta il pretesto per zoomare sull’importanza ed il ruolo della famiglia. «Quando famiglia ha avuto la diagnosi e l’ha accettata, si mette a lavorare seriamente con una presa in carico a 360 gradi – ha detto Lumachi -. I genitori devono concentrarsi su loro stessi e sul nucleo famigliare, perché magari c’è anche la presenza di altri figli. Si nota la differenza fra la presa in carico di una famiglia che fa da caregiver e orchestra tutti gli altri interventi e le figure che negli anni ruotano ed una famiglia che non procede in questo modo». Per Lumachi non si deve escludere nulla, né ci si deve aspettare miracoli o cercare scorciatoie. A sostenere la famiglia la capacità di adattamento, la motivazione la relazione di coppia.

E com’è la gestione nella scuola? «Nota dolente – risponde Lumachi -. Si sta cercando a livello di italiano di organizzare dei corsi mirati per gli insegnanti di sostegno. In Liguria inizia ora la selezione per la nona edizione di questi corsi che formano 370 insegnanti ogni anno. Il fatto è che le scuole si trovano impegnate non solo con le diagnosi di autismo, ma anche di tanti altri disturbi, oltre a difficoltà di origine diversa per l’inserimento sociale, di bambini stranieri o con famiglie a rischio. Devo, perciò, anche spezzare una lancia per gli insegnanti per i quali restare al passo non è semplice».

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