Quarant’anni fa la nascita
della Lega Lombarda

Il 12 aprile 1984 la firma dell’atto che ha segnato l’inizio dell’avventura leghista: il primo nucleo a Verese ed il successivo allargamento anche a Lecco

Quarant’anni di Lega, in gran parte segnati dalla silhouette di Alberto da Giussano, dalla battaglia autonomista, dai raduni di Pontida e dai fazzoletti verdi alla fonte del Po. E, ovviamente, dalla leadership di Umberto Bossi, in equilibrio instabile tra piazza e palazzo, tra l’alleanza con Forza Italia e gli affondi contro “Berluskaiser”, tra “Roma ladrona” e gli accordi politici nella capitale a tavola con Letta, D’Alema o Buttiglione.

La stagione del “bossismo” (con tanto di giuramenti al pratone e tank dei frondisti in piazza San Marco) si chiuderà nel 2013, cedendo prima il testimone a Roberto Maroni, quindi al cambiamento di pelle segnato dal nazionalismo color blu di Matteo Salvini. Eppure è proprio Bossi, già reduce dalle contaminazioni con la Liga Veneta e gli autonomisti valdostani, a fondare la Lega Lombarda, atto di nascita fissato il 12 aprile 1984. Sono gli esordi assoluti del crogiolo di istanze federali che si coagulerà poi nella Lega Nord nel 1991. All’inizio l’entusiasmo circola soprattutto nel Varesotto, ma ben presto gli articoli di “Lombardia autonomista”, come il famoso pensiero sulle ali dorate, viaggiano fino alle sponde lariane.

A Lecco, ad esempio, li legge Roberto Castelli, ex ministro e storico militante leghista. «Ricordo che lessi il giornaletto nel 1986, a casa di mia madre. Mi convinsero quelle idee. Feci la tessera e votai lega alle Politiche del 1987, quando il movimento riuscì a far eleggere Bossi e Leoni. Anche a Lecco la cosa fece scandalo, i giornali titolavano che avevano vinto i razzisti. Scrissi di mio pugno una lettera piuttosto ampia, offrendo le mie riflessioni sul senso di quel successo elettorale. Pochi giorni dopo, mi arrivò una telefonata. Luigi Bonacina, responsabile della Lega per il nostro territorio e già candidato come deputato mi chiedeva di parlarmi. Venne a casa mia, parlammo del partito, disse che aveva bisogno di gente per portare avanti le idee autonomiste. Mi aveva convinto, gli risposi, doveva solo dirmi cosa fare e l’avrei fatto. Gli domandai però quanti fossimo a metterci in gioco. Da adesso siamo in due, mi rispose. Lo ricordo ancora».

Erano gli anni eroici di Gianmario Airoldi in consiglio provinciale (proprio insieme a Castelli, che rifiutò la chiamata di Bossi per la Regione), di Stefano Galli, Carlo Castelli in consiglio comunale a Lecco (correva l’anno 1988), della prima sede provinciale a Mandello e quindi a Lecco sul lungolago, con le “pasionarie” Morena Sgheiz e Lucia Cagliani. Certo, la tessera Lega in tasca a fine anni Ottanta non era un oggetto facilmente spendibile a livello sociale. «I conoscenti mi dicevano che ero matto - ricorda Castelli - che andavo con i razzisti. Non era vero niente, ovviamente. Presto il dileggio si è trasformato in preoccupazione per i risultati che raccoglievamo».

A inizio anni Novanta il boom leghista travolge diversi municipi lombardi. Milano, Mantova, Pavia, anche Lecco si colorano di verde. Testimone diretto dell’impresa è ovviamente l’ex sindaco Pino Pogliani. «Nel ’91 sono entrato in Lega da simpatizzante, a giugno ’93 sono diventato sindaco nelle prime elezioni dirette: siamo stati avvantaggiati da Tangentopoli, ovviamente, ma anche dal fatto che a Lecco la compagine di centrodestra era più solida che altrove. Forza Italia non esisteva ancora e gli ex democristiani andarono alle urne separatamente. È stata una vera rivoluzione. Con noi c’erano sostanzialmente personaggi di estrazione conservatore. Dov’ero negli anni Ottanta? Diciamo che non amavo le esasperazioni folkloristiche e le mire politicamente basse della promissima Lega. Poi però Tangentopoli ha cambiato tutto: bisognava fare qualcosa». Dopo Pogliani, a Lecco, sarebbero stati gli anni di Lorenzo Bodega, di Carlo Invernizzi e Angelo Fortunati. E poi ovviamente di Antonella Faggi. Ma queste, come si dice, sono altre storie

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