Giudici, il lecchese che culla un sogno: «Il giorno della vita»

Il capitano del Lecco: «Mattone su mattone, qualcosa si è creato. Rappresentare la mia città è qualcosa di straordinario»

“Un capitano, c’è solo un capitano”. Sì, e si chiama Luca Giudici da Imberido di Oggiono. Lui in realtà è nato a Erba, il 10 marzo del 1992, ma è sempre vissuto nella Brianza lecchese. E ora, da quei campi di provincia vuole fare il salto più alto della sua carriera, l’anticamera della A, la serie dei sogni che si realizzano. I primi calci Luca li ha tirati a Oggiono. Con i rossoblù ha fatto dalla scuola calcio fino alla prima squadra, in Promozione. Dai 5-6 anni fino ai 17 anni. Sempre sull’esterna destra, preferibilmente, a centrocampo.

Il suo allenatore “guru” Michele Mastalli, che è stato quello che gli ha insegnato di più nell’approcciare il mondo del pallone. Dopo di che è andato in Eccellenza all’Ardor Lazzate quindi alla Caronnese in serie D dove ha fatto sei anni. La gavetta è stata lunga, ma proficua. Dai campetti di periferia allo Zaccheria. Da Marco Gaburro a Marco Zaffaroni. Tre anni alla Caronnese in D e poi una stagione e mezza a Monza in serie C. Zaffaroni ora è al Verona, per intenderci.

«Ambiente difficile, a volte»

Ma chi se la sarebbe aspettata una finale così? Neanche Giudici: «A inizio stagione non me la sarei mai attesa, perché l’aria che tirava a giugno non era buona. Siamo passati dal “non ci iscriviamo”, al precampionato difficile. Poi un inizio non dei migliori e poi pian piano, mattone su mattone, qualcosa si è creato. Fino a quel periodo in cui pensavamo di potercela giocare per il primo posto: lì abbiamo cominciato a crederci. Ma a inizio campionato no, non ci credevo».

Poi la fascia da capitano a inizio stagione. Anzi prima. All’inizio non c’era quasi nessuno che la volesse indossare: «Poi Malgrati mi dice: sei della zona, conosci l’ambiente, potresti farlo tu... Mi convinse. E io ho accettato subito. Per me è stato un motivo di orgoglio, sono un lecchese, mi sono tanto affezionato all’ambiente Lecco. E poi è uno stimolo in più, visto che rappresenti oltre alla squadra, la città. È anche una responsabilità in più, perché il primo a cui si punta il dito contro se le cose vanno male, è il capitano. Dentro e fuori dal campo devi essere un esempio. E Lecco è un ambiente difficile, a volte. Un doppio lavoro. Ma l’ho accettato e sono contento di averlo fatto. A prescindere da oggi…».

Parliamo della finale. Quante pressioni indebite. Il clima creato ad arte dal tifo rossonero per mettere in difficoltà i blucelesti. Ci sta, ma si è andati anche oltre…: «Cerchiamo di chiudere le orecchie, ma è inevitabile ascoltare le cose buone e meno buone che si dicono. Dà un po’ fastidio vedere il partitone di Foggia occultato sotto le polemiche arbitrali. A noi dispiace che si sia creata questa situazione e che si parli solo dell’arbitro e non di noi. Siamo contenti di aver fatto una grande partita e di esserci meritati il risultato. Non abbiamo tempo di sprecare energie per queste cose. Ci stiamo preparando solo per la partita di oggi».

«Siamo consapevoli»

Cosa c’è da aspettarsi? Il capitano del Lecco lo sa benissimo: «Ci aspettiamo un Foggia arrembante, forte, cose che già sapevamo. Quello su cui però ci dobbiamo concentrare è non pensare al risultato e fare la nostra prestazione senza difendere il risultato. Dobbiamo preparare la partita come se fossimo 0-0 e come fosse una partita di campionato normale. Siamo consapevoli di quel che ci stiamo giocando».

Il sogno da bambino? «Sì ne avevo tanti. E questo è uno di quelli. Ora meglio non dire niente. Anche in spogliatoio non se ne parla. Chi prova a dire quella parola lì viene fulminato istantaneamente. Ma oggi per tutti è il giorno della vita, c’è poco da girarci intorno».

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