Abruzzo, sarebbe un tonfo per Meloni

Se la Sardegna è stato un inciampo, l’Abruzzo potrebbe diventare un tonfo. Già, tutta d’un tratto la piccola regione tra mare (uno e non tre come avrebbe affermato l’attuale presidente) e monti, in cui si vota domenica e che ha dato i natali a Gabriele d’Annunzio e Bruno Vespa è diventata cruciale per i destini del governo di centrodestra, tant’è che Giorgia Meloni è passata in un amen dalla Casa Bianca a Pescara per spingere la corsa di Marco Marsilio, presidente uscente di Fratelli d’Italia, accusato peraltro di correre già troppo poiché vive a Roma ed è solito tornare spesso a casa.

I suoi avversari politici magari, parafrasando un altro grande della zona, Ennio Flaiano, potrebbero parlare di un “Marziano a L’Aquila”.

L’Abruzzo è una terra storicamente democristiana. Un altro suo grande figlio è Gianni Letta, un post Dc a tutto tondo. Era il feudo elettorale di Remo Gaspari, patrono di tutti i postini indigeni fatti assumere. Poi dopo la fine della Balena Bianca, ha oscillato tra centrodestra e centrosinistra. Rispetto alla Sardegna, le strategie adottate sono differenti.

L’alleanza governativa non ha cambiato cavallo in corsa e non ci sono state le polemiche di fuoco tra Salvini e Meloni che hanno influito sul ko nell’isola. I due si sono presentati al comizio in riva all’Adriatico per ostentare una compattezza che non c’è e non ci sarà fino alle europee di giugno che segneranno la definitiva resa dei conti.

Tant’è che il numero uno della Lega non ha nemmeno atteso la foto ufficiale e se n’è andato con la manifestazione ancora in corso.In mezzo Tajani con la sua Forza Italia che spera di godere tra i due litiganti com’è accaduto nelle urne sarde.

Cinque anni fa, il candidato FdI, che pure è un fedelissimo di Giorgia, era stato trainato dai voti salviniani che ora sono stati quasi tutti risucchiati dall’alleato. E di certo il Capitano ha ben presente questa cosa.

Anche nell’altra metà del recinto politico ci sono novità rispetto alla Sardegna. Se lì il centrosinistra ha vinto seppur diviso, con Calenda, Fratoianni e Bonelli che avevano sostenuto Renato Soru e non Alessandra Todde, poi risultata prima. In Abruzzo sono tutti assieme e, dopo l’esito isolano, anche piuttosto appassionatamente.

Il candidato presidente, Lorenzo D’Amico, è riuscito nell’impresa di arare questo campo larghissimo e se dovesse andare bene avrà tracciato il solco anche per la sfida al centrodestra in campo nazionale. Certo, la coalizione dovrà fare i conti con la sua atavica difficoltà a gestire le vittorie. Ma questo sarebbe un problema del futuro. Per il momento l’importante per il centrosinistra è cercare di continuare la serie elettorale positiva, avviata in Sardegna dopo una serie di batoste, anche per puntellare la leadership di Schlein. Fondamentale sarà il voto della provincia de l’Aquila, dove, nonostante gli anni passati, le ferite del terremoto sono ancora in gran parte aperte.

Insomma la partita dell’Abruzzo va oltre l’interesse degli abitanti di quella regione e incide sul futuro della politica nazionale. Del resto è una specialità italiana dare a ogni elezione un significato diverso da quello che dovrebbe avere.

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