Noi padri, come ci siamo ridotti

I disastri che combinano i padri. I padri in generale. Tutti i padri. Non c’è bisogno di aver letto i Karamazov per capire quanto sia profonda la spaccatura esistenziale destinata a separare i padri dai figli, ma d’altra parte basta la propria esperienza di vita per capire che avventurarsi in spericolate e molto spesso trombonesche (“ai miei tempi sì che c’era rispetto, caro lei…”) analisi psicologiche e sociologiche è un rischio mortale. Ogni disastro paterno è un caso a sé.

Eppure, in questa nostra epoca melliflua e fanghigliosa, nella quale domina il grottesco e dove nessuno sembra essere all’altezza della propria parte in commedia, la figura del padre sta via via assumendo una dimensione ridicola, patetica, pagliaccesca, che dà il tono a tutta la scalcagnata società che la circonda. Dei recenti fatti che hanno coinvolto uno dei figli di Ignazio La Russa l’aspetto meno interessante è proprio quello della ipotetica violenza e di tutto il codazzo di cronaca legato a discoteche, party, cocaina, deejay, ragazzotti, ragazzotte, letti, divani e tutto il resto del ciarpame sul quale penserà a scrivere parole chiare e, si spera, definitive la magistratura. È una situazione drammatica e delicatissima sulla quale sarebbe meglio sospendere ogni giudizio, evitando di gettare letame nel ventilatore e nelle vite private di ragazzi sprovveduti o marpioni, ma di certo in qualche caso certamente innocenti.

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