Il virus e la crisi
del modello sociale

Il fuoriclasse è quello che tira fuori il colpo che non ti aspetti. Quello che rompe gli schemi. Quello che fa la mossa del cavallo. Quello che, nel bel mezzo della valanga di notizie, dati, commenti, retroscena, polemiche, fobie, deliri e, soprattutto, sciocchezze nella quale sono inzaccherati i media, possiede l’acume e il coraggio per impostare una riflessione altissima, terribile, spietata al limite del disturbante, sul coronavirus.

Il fuoriclasse in questione è Giuliano Ferrara, che in un editoriale pubblicato sabato scorso sul Foglio - e naturalmente passato sotto silenzio, perché è di questa fanghiglia che è fatto il mainstream della comunicazione - si poneva, con il supporto dell’economista Francesco Giavazzi, la seguente questione. Se il virus funzionasse pandemicamente come una grande scrematura, sopprimendo in ogni latitudine e contesto socioeconomico tantissimi anziani fragili patologici, che abbondano nel mondo sviluppato, ne uscirebbe una società più forte, più dinamica, più produttiva, più innovativa? Alla fine, la risposta dei due intellettuali - anzianotti pure loro - era tanto ferma quanto agghiacciante. Sì.

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