Lecco, l’innovazione
cambia il latte: più digeribile

L’idea dell’allevatore Antonio Ciappesoni: «Lavoriamo sulla selezione genetica degli animali per un prodotto con un diverso contenuto proteico»

Come vincere l’ennesima battaglia con i prezzi e la crisi? A 72 anni, compiuti lunedì, Antonio Ciappesoni - già vicepresidente nazionale degli allevatori e presidente di Coldiretti Lecco e Como - crede «ancora e sempre nella qualità e nell’innovazione».

La sfida, che da Bulciago lancia al mondo, è il super latte: «Super digeribile e di straordinaria resa per la produzione del formaggio». La Beta-caseina A2a2 è la proteina su cui Ciappesoni scommette; spiega, con Lucio Zanini, suo collaboratore storico: «Stiamo già ottenendo alcuni esemplari, attraverso la selezione genetica, in grado di dare questo latte in concentrazioni elevate; inoltre, è nostro il toro (Zous) primo in Italia per l’indice “Totale economico” per la razza Bruna, con discendenza già in produzione per la eccellente presenza nel latte di un’altra componente, la K caseina Bb, di eccezionale resa casearia; la sfida - annuncia Ciappesoni - ora è un latte con entrambe le caratteristiche: cioè, unico, Kbb e A2a2 insieme, di eccezionale digeribilità, anche impiegato nei prodotti liquidi come gli yogurt, per conquistare la platea di chi oggi si dice allergico, e molta resa nella trasformazione in formaggio. Ci dobbiamo arrivare prima degli altri; l’altra scommessa è immetterlo nella grande distribuzione».

Chi arriva prima conquista il mercato. «La corsa non è ancora cominciata da noi. È una bella sfida - ribadisce - ma, ancora una volta, tutta sulle spalle di noi allevatori: non si può sapere, infatti, se le catene dei supermercati risponderanno, e quanto pagheranno: sono loro, d’altronde, a fare il mercato, dato che i piccoli negozi sono quasi spariti. Di certo, a noi richiederà circa otto anni di investimenti e di selezione, questo rinnovo completo della mandria».

Finora l’applicazione in Italia della A2a2 è limitata a una nicchia lungo l’Adda, ma per la produzione del grana padano Dop. Solo in alcuni Paesi dell’Oceania, in Inghilterra e in Usa c’è un crescente interesse sull’argomento, ma arrivando da poco alla commercializzazione di latte contente solo Beta-caseina A2a2.

«Ci sono evidenze che molte persone possono digerire l’A2 e non l’A1», secondo Keith Woodford, professore di Agribusiness alla Lincoln University in Nuova Zelanda.

Intanto, Ciappesoni tira le sue somme: manda avanti «dal 1985 l’azienda da 300 capi a Bulciago, con una produzione di circa 4.200 litri di latte al giorno, conferiti alla cooperativa Sant’Angiolina, la prima ad avere adottato il latte delle province di Lecco e Como per il Grana Padano Dop. Il valore della nostra produzione locale è, dunque, tale da motivare il viaggio a Mantova, dove avviene la lavorazione, ma la situazione del settore - dice - resta drammatica, con l’aumento dei costi di elettricità e gas che, soprattutto in vista dell’estate, saranno una mazzata, in aggiunta a tutti gli altri». I conti sono presto fatti. «I nostri 12mila metri quadrati dedicati alle mucche di razza Bruna sono sottoposti alla disciplina del ”benessere animale” e, quindi, raffrescati in estate, mentre ora ci stiamo occupando di mantenere al caldo, mediante lampade, i 40 vitelli nati lo scorso autunno. Altri impianti alimentati a corrente sono, ovviamente, la mungitrice, che funziona per circa quattro ore al giorno; al termine, l’impianto va sanificato con circa 300 litri di acqua per volta (cioè 600 al giorno) portata alla temperatura di 70 gradi. Si aggiungono gli aumenti del foraggio. Il pezzo, per il clima, è salito da 15 euro a 20, al quintale; quello dei cereali, da 14 euro a circa 30; la soia, da 35 euro a 60. Anche le certificazioni di qualità, come appunto il benessere animale, di cui si fregia la latteria, sono a carico nostro».

E sull’altro piatto della bilancia? «Il latte veniva pagato 800 lire al litro nel 1985 e viene ritirato a 39 centesimi adesso: dunque, in trent’anni il prezzo non è mai salito; anzi, frattanto c’è stata tutta la vicenda delle quote latte nazionali, privando gli agricoltori di quello che era un patrimonio cedibile, per esempio a fine attività o spendibile con le banche: la perdita, per noi, è stata pari a oltre 600mila euro».

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