«I lupi ci sono, non sarebbe un caso raro
Ma sono soli e terrorizzati dall’uomo»

Galbiate Il colonnello Alberto Ricci comandante dei Carabinieri Forestali di Mantova in campo Monitora e studia i movimenti in Lombardia: «Non ci sono branchi, si spostano singolarmente»

«La qualità delle immagini non è ottimale, per questo è difficile stabilire se si tratti di un lupo oppure di un cane ibrido, ma in generale non mi stupirei troppo del fatto che sia stato avvistato un lupo».

È questa la risposta di fronte immagini girate sulle pendici del Monte Barro del colonnello Alberto Ricci, comandante dei Carabinieri Forestali di Mantova, nonché responsabile per l’Arma nel progetto regionale “Life gestire 2020” che si occupa, tra le altre cose, di monitorare e studiare i movimenti dei lupi in Lombardia.

Prima a Montevecchia

«Già in passato nel parco di Montevecchia c’erano stati degli avvistamenti di lupi filmati con fototrappole. Poi non mi risulta ci siano state altre tracce, ma i lupi ci sono, nella vostra zona ma anche nella pianura padana, che ormai è frequentata da individui isolati e sporadici». È possibile, anzi, è già successo - anche nel Lecchese - che nelle zone meno selvatiche ci fossero degli avvistamenti. Ma sempre e solo di individui singoli: «Non si parla di branchi né di presenze stabili, ma di passaggi sì. I lupi si stanno diffondendo spontaneamente ormai da 30 anni: dall’Appennino hanno risalito le alpi facendo il giro dal Piemonte e ormai sono stabilmente anche in Lombardia». Ma una cosa sono i branchi, un’altra i singoli lupi: «I branchi che abbiamo in Lombardia sono gruppi familiari stabili che occupano una certa zona, composti da 4 a 10 individui che però stanno in certe zone che conosciamo, che non sono Lecco. Ci sono branchi sulle alpi lariane, sul confine con la Svizzera, sul confine con il Trentino, nella zona del passo del Tonale fino al passo dell’Aprica. Poi ci sono gli individui isolati, che vengono in dispersione».

In questi casi, in cui potrebbe rientrare anche il caso dell’animale immortalato alle pendici del Monte Barro il 19 giugno scorso, gli esemplari si spostano da soli: «si tratta di giovani maschi soprattutto ma anche femmine che quando finiscono di ricevere le cure parentali dei genitori, con il secondo anno di vita, si allontanano dal branco in cerca di fortuna. Vanno, percorrono anche decine o centinaia di chilometri in cerca di nuovi territori per mangiare e per accoppiarsi. Lo fanno normalmente».

Nessun allarmismo

Cercare da mangiare significa anche, a volte, avvicinarsi agli abitati, senza che però questo costituisca un pericolo effettivo per l’uomo: «non c’è da creare allarmismi: hanno il terrore dell’uomo e stanno molto lontani. Hanno dei sensi che consentono loro di sentirci a chilometri di distanza, quindi paura non bisogna averne. Poi c’è qualche caso in cui trovano il gregge o animali isolati oppure animali selvatici come i cinghiali allora chiaramente è il loro mestiere predarli». In ogni caso, un incontro ravvicinato con l’uomo è rarissimo, se non inesistente: «è quasi impossibile che succeda. Certezze assolute non ci sono, ma la letteratura ci dice che di incontri ravvicinati con l’uomo, in Italia, non esistono».

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