Lecco-Ballabio, parla l’esperta del Poli: «La colata di fango non preoccupa»

La frana Monica Papini, docente di Geologia, spiega quanto accaduto giovedì notte «Resta fondamentale l’attività di controllo del territorio, per monitorare eventuali movimenti sui versanti»

«Bisogna distinguere fra quello che è successo a dicembre e quanto accaduto venerdì. Due fenomeni completamente diversi per importanza e preoccupazione, nemmeno da paragonare». Monica Papini, professoressa ordinaria di Geologia applicata al Politecnico di Milano e coordinatrice del corso di studi di Ingegneria civile per la mitigazione del rischio a Lecco, fa chiarezza sulla colata di fango e detriti che ha portato all’interruzione per circa dodici ore della nuova Lecco-Ballabio.

«La frana di dicembre – spiega - era stata un distacco per fratturazione di grossi blocchi di roccia, dovuta all’azione del gelo e del disgelo. Un classifico fenomeno di fine novembre e inizio dicembre, estremamente pericoloso. Nel secondo caso si è trattato di una piccola colata di fango, di minima entità, dovuta alle piogge che hanno completamente saturato, cioè riempito d’acqua, quella parte di terreno che c’è nella zona di cantiere».

Assestamento

La professoressa Papini non crede ci debba essere da preoccuparsi per quanto accaduto venerdì: «È avvenuto in un punto dove c’è un cambiamento di pendenza. In una zona dove certamente c’è stato del movimento terra, nell’ambito dei lavori per la nuova barriera paramassi. Ora avranno pulito e tolto un po’ del terreno presento. Posso pensare che erigeranno una sorta di muretto, per trattenere il fango che potrà scendere ed evitare che finisca in strada».

La gran parte della cascata d’acqua che scendeva lungo l’ultimo tratto di parete era incanalata a bordo carreggiata, soltanto un rivolo, quello che verosimilmente ha trascinato fango e detriti sull’asfalto, attraversava la sede stradale.

«Ricordiamoci anche – continua - che era tantissimo che non pioveva. Un terreno molto secco perde la sua capacità di drenare l’acqua: non penetra nella terra compattata, mentre se è soffice entra rapidamente».

I lavori alla frana della Lecco-Ballabio, intanto, proseguiranno ancora per qualche mese: restano da realizzare un vallo paramassi e un nuovo argine. Si conta di terminare entro l’estate.

Quel che però è certo che un territorio come il nostro è chiamato a fare i conti con un’intrinseca fragilità: «Il cambiamento climatico, in generale, certamente porterà a un aumento del dissesto idogeologico. C’è però da distinguere. Se parliamo di frane da crollo come quella della Lecco-Ballabio, ma anche quelle che interessano tutto il versante fra Lecco e Colico, avrà sì un effetto, ma non così significativo come quello che si potrà avere per le frane in terra, come era stata quella di Bindo a Cortenova o nell’ultimo periodo a Ischia e nelle Marche. L’incapacità di drenare delle acque e le piogge molto intense incideranno. Per le frano da crollo vanno invece considerati i cicli di gelo e disgelo».

I punti a rischio

Queste ultime sono molto meno prevedibili: «Il radar installato sulla frana della Lecco-Ballabio, - commenta ancora la professoressa Papini – allo scopo di monitorare spostamenti della rocce, va bene nella fase emergenziale. In generale è fondamentale un’attività di controllo, prevenzione e manutenzione di tutte le opere di sistemazione già effettuate: serve proprio una politica che vada in questo senso».

E serve anche un’opportuna formazione, punto al momento dolente: «Negli studenti, per esempio, c’è una sensibilità a questa tematica meno sentita rispetto ad altre. A a fronte di una richiesta altissima da parte del mondo del lavoro, abbiamo un numero di iscrizioni limitato. Eppure viviamo in un territorio che avrebbe bisogno di esperti formati su questi temi».

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