Vecchioni al Sociale, emozioni e applausi

Ospite di GSmile Il grande cantautore ha infiammato la platea cantando i suoi famosi brani sulla vita e sull’amore. Un inno alle donne e alle ragazze con la poesia dei suoi successi storici fino all’ovazione finale per Luci a San Siro

Musica e poesia al Teatro Sociale gremito per il cantautore dell’anima, Roberto Vecchioni, che apre alla grande la nuova stagione di GSmile col suo galvanizzante presidente Antonio Grimaldi in proscenio a portare “il cuore”del gruppo.

Un gruppo che si muove nel sociale con spirito garibaldino e annuncia al di là dell’impegno programmatico dei suoi successi musicali e cabarettistici, anche quello di arredare la “wellness room” per malati terminali dell’ospedale morbegnese. Evergetismo simbiotico di giovani che si muovono per il benessere della propria comunità.

Un trionfo

E Roberto Vecchioni è l’alfiere perfetto che fa da sponda a una elargizione di profonde emozioni che infiammano la vasta platea del “Sociale” sin dalle prime note di “Imparerò a volare” dedicata col suo amico Guccini ad un eroe contemporaneo come Zanardi.

E’ il grande “maestro della parola” che narra poi le meraviglie di un amore eterno che da 43 anni incarna tutte le donne del mondo, ribadendo che per lui non c’è altra al mondo e può scorgerla tra mille altre e amarla con la stessa intensità di sempre. “Ogni canzone d’amore” che si perde nel tempo e non sai dove va, ed è la stessa di ieri, di mille anni fa” tratta dall’album “Infinito”, come il suo tour, stilla ricordi immalinconiti di 30 anni e più rubati all’invidia del tempo, ma coriacei nella ferma certezza di quello “Stringimi forte stasera. Tu sei primavera, io sono l’inverno”. Applausi infiniti per un leone mattatore che sa pigiare l’acceleratore sulla leva cromatica delle emozioni quando canta della sua ragazza che tutti “si voltano a guardarla per i suoi occhi scuri, si mangiano le mani quelli che non ce l’hanno che l’hanno conosciuta e non la rivedranno”.

Omaggio poi alla sua versatile brigata musicale capeggiata dall’ineffabile ricamo della chitarra di Massimo Germini - una prodigiosa orchestra nelle sue mani - inneggiando al suo Vincent (Van Gogh): “Dolce amico mio, fragile compagno mio, al lume spento della tua pazzia te ne sei andato via, piegando il collo come il gambo di un fiore: scommetto un girasole”. Pura poesia intessuta di musica che vola sulle note de “L’Infinito” leopardiano dal sapore partenopeo sulle tracce del luteo splendore di una ginestra che evoca in lontananza, come “nu pianneforte e notte” degiacomiano, il “Te voglio bene assaje” dell’epopea napoletana. Vecchioni è sommerso dagli applausi quando si destreggia nel travolgente ritmo de “Il bandolero stanco” per abbandonarsi poi nello stridente dolore e nel coraggio delle donne iraniane senza voce attraverso il sacrificio di una donna curda che chiude la sua vita gridando forte: “Se qualcuno me lo trova addosso riporti a casa il mio cappuccio rosso”. Ma è nell’accorata preghiera di un Padre a un Dio sconosciuto per la vita del proprio figlio che il cantautore vive l’immane sofferenza di una perdita inaccettabile.

Commossi

Fino alle lacrime avvolte da un prodigioso empito di commozione dell’intera platea. Amarevole “Le mie ragazze” dedicata a chi “ha vent’anni in più”, poi il canto intercetta le ansie dei giovani in “Sogna, ragazzo, sogna” perchè “Io conosco poeti che spostano i fiumi con il pensiero e naviganti infiniti che sanno parlare con il cielo”. Forte l’abbraccio empatico del cantautore con Antonio Grimaldi che gli strappa una toccante “Viola d’inverno”. Un vero boato accoglie infine l’attesissima “Luci a San Siro” con mille voci osannanti che si inseguono e tutti in piedi cantano il viaggio infinito di “Samarcanda” in groppa al cavallo della fantasia e un groppo insistente di commozione alla gola.

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