«La mia seconda volta nella splendida Lecco»

Musica Hevia il 17 dicembre, alle 13, sarà protagonista del concerto ai Piani d’Erna

La prima cosa che Hevia domanda, al telefono dalla sua casa di famiglia nelle Asturie, prima ancora di cominciare l’intervista è: «Fa freddo a Lecco?».

«No, per ora no, cinque o sei gradi», la risposta.

Impossibile offrire garanzie per il concerto del prossimo 17 dicembre alle 13 ai Piani d’Erna (gratuito, ma già sold out) , ma già il titolo “S.O.L. Musica Sottozero | Hevia in Erna” dovrebbe aver dato al musicista spagnolo, che parla un perfetto italiano, qualche indicazione.

«Sa, una volta a Chicago ho suonato a -14, ma ero giovane» ricorda ridendo.

Era giovane anche quando venne la prima volta a Lecco, una quindicina di anni fa, munito della sua inseparabile gaita, uno strumento popolare che lui ha reso noto a livello mondiale soprattutto con un disco - “Tierra de nadie” - uscito nel 1998, un disco che vendette oltre un milione di copie solo in Spagna.

Cosa rammenta della nostra città?

Ricordo di aver suonato vicino al lago, un posto bellissimo. Lecco è una città meravigliosa, ma a me piace tutta l’Italia. Arriverò un paio di giorni prima del concerto per godermi il territorio lecchese.

Questa volta però suonerà in montagna, a 1300 metri...

Per questo sto pensando di suonare con una giacca pesante (ride, ndr) sarà un po’ complicato per il freddo, ma ce la faremo.

Che tipo di concerto sarà?

Mi esibirò col pianista Roberto Gionata e con mia sorella Maria, alle percussioni. Io suonerò flauto, la gaita asturiana e la cornamusa elettronica. Per quanto riguarda la scaletta, per metà sarà composta dai miei brani più famosi, ma ci saranno anche tante canzoni che non ho mai inciso. Mi piace offrire dei brani nuovi al pubblico e forse qualcuno di essi entrerà nel mio prossimo disco, che dovrebbe uscire nel 2024.

Lei suona uno strumento particolare, la gaita asturiana. Come è nata questa passione?

Iniziai attorno ai dieci anni, era circa il 1977. Ai tempi non era normale suonarla, ma poi tutto si è sviluppato e oggi ci sono circa tremila persone nelle mie zone che la suonano, esistono scuole nei paesi e anche un corso al conservatorio. Tra l’altro adesso sono nello stesso posto in cui, da bambino, suonai per la prima volta questo strumento, quella che un tempo era la casa dei miei nonni e in cui adesso vivono i miei genitori.

Come mai iniziò?

Perché la mia era una famiglia molto legata alle tradizioni asturiane, mio nonno era un minatore e aveva una voce fantastica; ai tempi era normale per loro cantare, quando lavoravano e non c’era nessuno nei paraggi. Io però mi nascondevo apposta per sentirlo.

Non ha pensato di fare il cantante?

In realtà canto molto male, ma quando ho sentito per la prima volta suonare la gaita mi sono innamorato. Ho percepito la magia di questo strumento, unito al tamburo, e l’ho chiesto come regalo di Natale. In realtà arrivò l’anno successivo, ma non è importante...

C’è anche il suo zampino nella riscoperta di questo strumento?

Non so se il mio disco “Tierra de nadie” abbia avuto un’influenza sui giovani. Ai miei tempi ci fu una generazione di una decina di ragazzi che iniziò a suonare la gaita. Nelle Asturie ci sono circa un milione di abitanti e nei primi anni del 1900 c’erano diversi professionisti, ma poi arrivò la musica americana e i gusti cambiarono. Negli anni Settanta fummo in una decina a riprendere, tanto che ci ribattezzarono “la quinta del biberon”.

Come l’ultima generazione di ragazzi obbligata a lottare nella guerra civile da Franco?

Sì, nel nostro caso era detto in senso positivo, eravamo giovani che volevano mantenere vive le tradizioni.

Avrebbe mai immaginato il successo di “Tierra de nadie”?

Impossibile farlo. Io ai tempi ero già un professionista nella musica tradizionale e mi dissi “vado a Madrid un paio di mesi, faccio il disco e torno a casa”. In realtà ci sono voluti due anni per l’album e sono in giro da quasi trent’anni. A casa, nelle Asturie, torno una volta ogni due settimane, ma non è importante.

In che senso?

Nel senso che le Asturie per noi non sono un luogo geografico, sono uno stato mentale, sono sempre con noi.

Si è mai chiesto il motivo di tale successo?

Non me lo spiegare. Forse è la magia della gaita, non so... la realtà è che quella del musicista è una professione crudele, ci sono tantissimi talenti che non arrivano mai. La formula che mi ha aiutato è il lavoro, unito alla fortuna.

Matteo Mastragostino

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