ho seguito giovedì la cerimonia per Pio Galli, l'indimenticato segretario generale della Fiom, lecchese e partigiano, uomo scolpito nel granito come molti della sua generazione, protagonista della lotta partigiana e di quella operaia del dopoguerra, dopo l'esperienza come lavoratore al Caleotto, dove si battè per garantire una migliore qualità di vita agli operai.
Con lui termina un'epoca fatta di ideali e di conquiste, di sobrietà morale e di dedizione alla causa - tutte cose lontane milioni di chilometri dal modo di essere dei nostri politici - un tempo in cui il lavoro era ancora un valore da tutelare e la famiglia il pilastro di una società in divenire.
Mi ha commosso vedere alla cerimonia, scarna e vuota di retorica come sarebbe piaciuta a lui, i volti segnati di molti operai, che assieme a lui condivisero le battaglie per il comparto metalmeccanico, il più duro e difficile, lo seguirono poi nelle bollenti vicende legate alla “Marcia dei quarantamila” della Fiat scesi in piazza per protestare contro i picchetti ai cancelli, e poi a Lecco, una volta eletto nel consiglio regionale.
Un addio colmo di rimpianto e gratitudine per un uomo che ha donato la vita per la democrazia e la speranza di un futuro migliore.
Antonio Di Giovanni
Lecco
Caro Di Giovanni,
Pio Galli è stato uno dei simboli più limpidi dell'operaismo italiano, nei tempi eroici del sindacato, dei Lama, Storti, Vanni e Carniti, gente venuta dalla Resistenza e capace di discutere alla pari al tavolo delle trattative con i grandi capitalisti come Agnelli o Pirelli. Galli era figlio di una famiglia operaia e nella forza pulita del lavoro e della solidarietà aveva imparato a credere fin da giovanissimo. Le lacrime di tanti operai, ma anche della gente comune, sono il miglior regalo che si potesse fare a un uomo austero ma passionale, simbolo di un'Italia più povera ma più vera che non abbiamo ancora dimenticato.
Vittorio Colombo
v.colombo@laprovincia
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