Antifascisti: gli unici
nostalgici del fascismo

Una volta, bei tempi, si dava del fascista a De Gasperi. Poi si è dato del fascista a Leone. Poi si è dato del fascista a Cossiga. Poi si è dato del fascista a Craxi. Poi si è dato del fascista a Berlusconi. Poi si è dato del fascista a Renzi. Ora, buon ultimo, ma guarda un po’, si dà del fascista a Salvini.

Non c’è niente da fare. Passano gli anni, i figli crescono, le mamme imbiancano, i mondi si stravolgono, ma noi restiamo sempre ancorati lì, aggrappati alla nostra culturetta da sussidiario delle elementari, alla nostra vulgata resistenziale, ai nostri bozzetti nostalgici sull’epopea partigiana e sulle brigate Garibaldi onuste di gloria e sui virgulti della nazione umiliata e offesa e, soprattutto, sul pericolo incombente, imminente, avvolgente, eterno e mai domo del sempiterno fascismo che minaccia da sempre e per sempre la democrazia dei popoli e delle genti. E giù avverbi e aggettivi e superlativi e severi moniti e alti lai e ditini alzati e plumbee profezie e altisonanti invettive e pifferi e tromboni e grancasse e labari e cori degli alpini e tutto il resto della propaganda che da settant’anni innerva i meglio moralisti del bigoncio della nostra repubblica delle banane.

L’ultima trovata della retorica partigianesca contro la dittatura che già incombe con i suoi vagoni piombati e le sue deportazioni a Ponza l’ha firmata L’Espresso, che nell’ultimo numero ha pubblicato un vero e proprio “fascistometro”, un test di sessantacinque affermazioni stilate dalla scrittrice molto “de sinistra” Michela Murgia.

A seconda di come si risponde, da quali di queste frasi si valutano positivamente e quali no, si può valutare il grado di fascismo - dall’“aspirante” al “patriota”, passando per il “protofascista” e il “militante consapevole” - insito in ognuno di noi. Il test è spassoso, soprattutto per gli esiti.È sufficiente condividere alcune affermazioni di buonsenso - “esiste una famiglia naturale”, “basta con quelli che dicono di no a tutto”, “l’Italia è un paese ingovernabile”, “un paese senza confini non è un paese” - e ci si ritrova come minimo, senza passare dal Via e senza manco ritirare i venti euro, tra gli aspiranti fascisti. Poi c’è anche chi - come chi scrive questo pezzo - è messo pure peggio, che ancora un paio di domande sbagliate e finiva, per la gioia di suo nonno buonanima, tra quelli che il sabato mattina sfilano in adunata con l’orbace e gagliardetto.

Ora, la trovata dell’Espresso ha degli aspetti oggettivamente divertenti, anche se del tutto involontari, e quindi il consiglio è di andare a vedersela sulla rivista e provare un po’ a vedere quanto ognuno di voi sia fascista dentro. Ci si fa due risate in compagnia e poi si butta la pasta per la cena. La cosa seria e preoccupante per quel che resta della sinistra di questo paese è invece un’altra. E cioè la sensazione penetrante che gli unici veri nostalgici del fascismo siano proprio gli antifascisti. Non quelli veri, quelli di una volta, naturalmente, ma quelli da talk show, perché se venisse certificato una volta per tutte che il fascismo è morto e sepolto nel 1945 non saprebbero più che fare e non avrebbero più l’unica arma che hanno a disposizione per analizzare la realtà del 2018. Arma leggerissimamente spuntata da più o meno un settantennio e dalla quale discende l’altrettanto leggerissimo problema di non capire una mazza di quello che accade nel mondo di oggi. E d’altra parte, perché mai ci si dovrebbe sforzare? Appena appare sulla scena del rutilante caravanserraglio della politica un soggetto o un movimento che non gli aggrada, basta bollarlo di fascismo e il gioco è fatto. De Gaulle? Fascista! Reagan? Fascista!! La Thatcher? Fascista!!! Trump? Fascista!!!!

E dire che, tornando alle miserie italiote, non ne mancherebbero di argomenti per fare a pezzi l’attuale governo di scappati di casa, che tali e tante ne combina da far rimpiangere Goria e Rumor. Ce ne sarebbero di nefandezze - il reddito di cittadinanza, l’abolizione della Fornero, il blocco delle grandi opere, l’Alitalia, l’assenza di investimenti nella scuola e di taglio delle tasse a famiglie e imprese eccetera eccetera - da contestare a chi pensa di gestire il caos degli elementi nel quale siamo impastoiati con un ridicolo ritorno allo Stato padrone, alla nazionalizzazione a priori, all’elargizione di sussidi a pioggia e, soprattutto, la cosa più grave, al ribollire di una cultura infida e fetida e mollacciona della quiescenza, della senescenza, del miraggio di un paese di pensionati, di assistiti, di sovvenzionati.

Ma si dirà che questa è una lettura di destra, di destra liberista. Ma anche da sinistra sarebbe bello chiedere come le fasce più deboli della popolazione - i poveri veri, non gli evasori che si beccheranno il reddito di cittadinanza per bivaccare al bar oppure lavorare in nero - i giovani in cerca di occupazione, le coppie che vogliono comprare casa o fare dei figli, siano aiutate da questa manovra economica. Ce ne sarebbero di cose da dire, da fare, da programmare. Ce ne sarebbero di contraddizioni da far esplodere lì dentro, tra un vicepremier che minaccia ogni giorno di invadere la Licia, la Dacia, la Tracia e la Cappadocia e poi del mezzo milione di clandestini che dovevano essere espulsi in due settimane non ce n’è uno che non sia ancora al suo posto, un altro che racconta balle a turboreazione su Ilva, Tap e Tav, un premier che conta come il due di picche e tutto il resto di un caos omografo e che assomiglia molto al Circo Medrano e molto poco al fascismo.

Ma tutto questo avanspettacolo, tutta questa maionese che piace tanto a noi italiani con l’anello al naso avrebbe bisogno di cultura e visione e modernità per essere compresa e affrontata, mentre invece gli intellettuali organici non si schiodano dal loro mantra esistenziale e resistenziale. Confermando quanto avesse ragione quel genio di Longanesi. In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti propriamente detti e gli antifascisti.

@DiegoMinonzio

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