Il profumo di Fassino e le nostre miserie

Nella prima pagina del primo racconto della formidabile raccolta “Finzioni”, il libro che lo ha rivelato in Italia, Borges scriveva che gli specchi e la copula sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini.

Sono due righe sulla nostra natura che valgono più di venti romanzi moltiplicati per cinque di qualsiasi scrittoronzolo alla moda e che illuminano con la loro acutezza anche i più miserabili episodi di cronaca. L’ultimo, proprio dei giorni scorsi, è quello che riguarda l’incredibile vicenda del furto di una confezione di profumo di cui è accusato Piero Fassino, storico politico e parlamentare di sinistra, dal Pci al Pd, che nei suoi lunghi anni di militanza ha fatto anche il segretario di partito, il sindaco di Torino e il ministro della Repubblica. La vicenda è agghiacciante, perché tutto ci si potrebbe aspettare da una figura del genere fuorché quello di rubare nel duty free di un aeroporto e, secondo i primi riscontri dell’accusa, pure in plurime occasioni. Lui ha ribadito che si tratta di un malinteso, che si era distratto, siamo agli inizi della vicenda, c’è la totale presunzione di innocenza eccetera eccetera, ma insomma, questo è quanto per ora.

Ma il punto, come qualsiasi lettore intelligente avrà già capito, non è questo. Il punto è la reazione dei media, non tutti, ma quasi tutti, e, cosa molto più interessante dei media, la nostra reazione, la prima reazione, la reazione a pelle, che è l’unica che conta, una volta venuti a conoscenza del fatto. Ed è qui che torna utile, anzi, fondamentale, l’incipit fulminante di Borges. Dopo un secondo, è partito il circo, lo sghignazzo, lo sberleffo, la battuta, la controbattuta, le pacche sulle spalle, le manate sulla pancia, le gomitate al vicino di poltrona, lo schiaffo del soldato, i lazzi, i frizzi, le lingue di Menelicche, la caserma, la Suburra, il Bagaglino, l’osteria, la vineria, la fiaschetteria, l’avanspettacolo, il gatto morto sul palco, la torta in faccia e tutti giù a ridere e a smascellarsi e a sbudellarsi e a rotolarsi per terra, a guaire, a grugnire, a scalciare. A dare il calcio dell’asino, ecco la definizione corretta: a dare il calcio dell’asino. Divertente, vero, maramaldeggiare sul potente che non conta più niente preso con le mani nella marmellata?

Chiunque non sia un imbecille ha già capito come sono andate le cose. O si tratta in effetti, per quanto poco probabile, di un colossale fraintendimento, un’imperdonabile dimenticanza, un clamoroso equivoco, e allora stiamo parlando del niente, oppure, a logica la cosa più plausibile, siamo di fronte a un uomo che non sta bene, una persona malata o depressa o esaurita o immersa in una crisi psicologica esistenziale da mettere i brividi. Perché è impensabile che con tutto quello che ha guadagnato - onestamente, fino a prova contraria - in questi decenni di altissimi incarichi Fassino non abbia i soldi per comprare un profumo o che sia così accecato da ritenersi impunito e sfidare la legge come il Marchese del Grillo - “io so’ io e voi non siete un cazzo!” - ed è ovvio che se un politico vuole rubare di certo non ruba un profumo, ma si fa corrompere a suon di milioni, e immaginate quanto avrebbe potuto sgraffignare da deputato, da sindaco, da ministro. È evidente che lì sotto c’è qualcosa di profondo, di penoso, di sconsolante. Di avvilente. E se è così, che senso ha infierire su una persona inerme, malata, indifesa?

Certo che la notizia andava data, assolutamente, ci mancherebbe altro, ora e in tutti i prossimi sviluppi, ed è anche ovvio che Fassino, allo stesso modo di qualsiasi sconosciuto poverocristo, dovrà pagare le eventuali conseguenze del suo gesto. Ma che ragione c’è di massacrarlo in questo modo? E i giornali di destra, che motteggiano tutti garruli, tronfi ed agagri sul compagno manolesta, cosa faranno quando capiterà - o quando è già capitato - a un politico dei loro? E i giornali di sinistra, molto più sobri e garantisti (chissà perché?), come si comporteranno quando succederà - o quando è successo - a uno degli altri?

Ma questo fa parte del maleodorante rigurgito dell’informazione della repubblica delle banane, e quindi chissenefrega. Però noi, noi gente comune, noi popolo bue, cosa ci troviamo di così spassoso? Cosa c’è di così edificante nello sguazzare nella spazzatura altrui, cosa c’è di così ridanciano nel mettere alla gogna chi non ha modo di difendersi? E poi, da che pulpito predichiamo? E con quale superiorità etica e morale? Quante volte ci è capitato di proteggere dal mondo un nostro caro che, per malattia o per età, iniziava a dire cose senza senso o a fare cose senza senso? Questo tipo di persone non vanno forse curate, o almeno accudite, e di certo tutelate perché è giusto che sia così e perché forse un giorno toccherà a noi finire in quelle condizioni? Le disgrazie accadono solo agli altri?

Ci vorrebbe tanta saggezza negli esseri umani nel valutare le cose del mondo, e tanta sapienza e tanta misericordia, tutte cose che noi non abbiamo in dote, perché appartengono solo all’essere superiore, sempre che esista. A noi no. A noi, no di certo, noi che ci rivoltiamo nella mota e nel fango e nello spurgo delle nostre miserie, delle nostre vergogne e delle nostre infamie, servi con i primi, arroganti con gli ultimi, capaci di lustrare mille scarpe o di saltare dentro mille letti quando il capo comanda e di pugnalarlo alla schiena fino all’elsa appena è sceso dal trono. Una roba che fa senso, una roba che schifo, una roba che fa vomitare.

La triste, tristissima vicenda dell’onorevole Fassino faccia il suo corso giudiziario, le tricoteuse del tartufismo fariseo si godano lo spettacolo - appena la fogna sbocca, la folla accorre - e tutti gli uomini e le donne di potere, compreso chi scrive questo pezzo, se la segnino bene sull’agenda. Perché un secondo dopo la loro caduta, delle torme di servi e sguattere e leccapiedi che gli svolazzano attorno per la strada e nelle redazioni non rimarrà manco l’ombra.

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