Cresce l’occupazione, ma non a Sondrio e Lecco

Record storico di occupati nel 2023 con la Lombardia a registrarne da sola un quinto, le province di Sondrio, Lecco e Brescia in controtendenza fanno invece segnare un saldo negativo con la Valtellina che negli ultimi quattro anni ha perso il 4,2% di lavoratori.

Segnali positivi, ma non per tutti secondo il quadro disegnato dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, l’Associazione degli artigiani e delle piccole imprese, che ha elaborato i dati dell’Istat e dell’Eurostat. Secondo questa analisi il 2023 ha fatto segnare 23,6 milioni di occupati in Italia - un quinto 4,5 milioni, vive in Lombardia -, 471mila in più rispetto al periodo pre Covid (+2%), di cui 213mila nel Mezzogiorno, ripartizione geografica che ha registrato l’incremento percentuale più elevato del Paese (+3,5%) e 50mila residenti nelle province lombarde (+1,1%). Il tasso di occupazione in dieci anni è salito dal 55 al 61,5% (+6,5%), pur rimanendo lontano di quasi dieci punti dalla media dell’Unione europea (70,1%). Le previsioni, però, dicono che lo stock complessivo degli occupati è destinato a crescere ulteriormente, sfiorando i 24 milioni di addetti entro il 2025.

In Lombardia la variazione dell’occupazione non è stata omogenea. Monza è la provincia con la crescita più alta: +4,6%. In Brianza lavorano 404mila residenti (+17,7mila rispetto al pre-Covid). Sopra la media nazionale del 2% si trovano anche Lodi (+2,8), Varese e Bergamo (+2,5%). A Lodi la popolazione attiva supera le 100mila unità (quasi 3mila in più del 2019), a Varese ha raggiunto quota 391mila (+9,6), a Bergamo 491mila (+12mila). Trend positivi anche se inferiori a Cremona (+1,3%), Milano (+0,9%), Mantova (+0,7%) e Como (+0,6%), mentre a Pavia il saldo con il pre-Covid è pari a zero. Le note dolenti arrivano dai dati di Sondrio, Lecco e anche Brescia. Negli ultimi quattro anni la Valtellina ha perso il 4,2% di addetti (più di 3mila): gli occupati sono scesi a 74,4 mila. Lecco ne ha persi 3,8mila (-2,5%) e Brescia 3,7mila (-0,7%).

Sempre l’anno scorso secondo la Cgia di Mestre coloro che hanno un contratto di lavoro a tempo in determinato hanno raggiunto un’incidenza dell’84% (15,57 milioni su 18,54 milioni) sul totale dei lavoratori dipendenti. Confrontando il numero di lavoratori dipendenti del 2023 con il posto fisso sempre con lo stesso dato del periodo pre-pandemico, l’aumento è stato di 742 mila unità (+5 per cento). E’ sempre più richiesto personale qualificato: il numero dei lavoratori altamente specializzati è aumentato nell’ultimo anno del 5,8% (+464 mila), pari al 96,5% dei nuovi posti di lavoro creati nel 2023; mentre rispetto al 2019 la variazione rimane positiva (+2,3 per cento), ma più contenuta rispetto all’anno precedente (+192 mila) con una incidenza del 40,7 per cento sui nuovi posti di lavoro creati nell’ultimo quadriennio.

Una criticità, trasversale a tutti i territori, riguarda i lavoratori autonomi (4,2%). Rispetto al 2019, a livello nazionale, sono scesi di 223mila unità (-4,2 per cento), nonostante nell’ultimo anno ci sia stato un leggero segnale di ripresa pari +62 mila unità (+1,3 per cento). Senza contare anche che storicamente l’Italia ha i livelli retributivi mediamente più bassi degli altri Paesi dell’UE, a causa di un livello di produttività del lavoro molto basso, di un tasso dei neet elevatissimo e di un tasso occupazionale relativo alle donne più contenuto di tutta Europa.

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