Bulciago: "Dal mio Vik
sbocciano cento fiori"

Parla la mamma di Vittorio Arrigoni, l'attivista per i diritti civili ucciso un anno fa a Gaza. A Bulciago e in decine di città iniziative per ricordarlo

di Vittorio Colombo

BULCIAGO "Non posso parlare di un miracolo. Ma certo la morte di Vittorio ha fatto sbocciare cento fiori, ha messo in comunicazione moltissime persone che erano alla ricerca di qualcosa. Un risveglio delle coscienze, un chiedersi cosa fare. E' la sua voce, che non vuole saperne di restare sepolta".
E' una donna forte, Egidia Beretta, la mamma di Vittorio Arrigoni. Una donna forte e una bella persona. Uno di quei sindaci che ogni giorno sono lì nel loro paese a puntellare quel che resta della nostra malandata democrazia. Un anno fa a Gaza le hanno assassinato il figlio, quel ragazzo di 36 anni con l'aria un po' guascona che aveva deciso di dedicare la sua vita alla causa dei popoli oppressi. Vik, che oggi è un simbolo. Con quel suo appello "Restiamo umani" che rimbalza dai muri e dalle bacheche virtuali di mezzo mondo, declinato in tutte le lingue possibili.

Come le arrivò la notizia, quel 15 aprile?
Ho saputo che Vittorio era stato sequestrato nelle ore immediatamente successive, quando c'era già in circolazione il video che avrete visto tutti ma che io non ho voluto guardare. La sera chiamò un suo amico avvisandomi che la casa dove veniva tenuto prigionieri era stata individuata e che lo stavano per liberare. Poi, quella notte, mia figlia Alessandra mi svegliò: "Mamma, guarda che stanno dicendo che Vittorio è stato ucciso". Dalla Farnesina mi dicevano di non prestare fede  quello che si vedeva in televisione perché la notizia doveva ancora essere accertata. Ma era tutto vero.

Perchè è successo? Chi è stato?
E' quello che noi non sappiamo e terremmo a sapere. La cosa ha un po' dell'inverosimile. C'è chi dice "Vittorio è stato ucciso dai suoi amici palestinesi", ma non è così. I suoi amici sono quelli veri, che ci sono ancora adesso e che mai avrebbero fatto una cosa simile. Lui mi raccontava che nel sud della Striscia c'erano questi salafiti che contrastavano l'azione di Hamas, ancora più integralisti nel sostenere la purezza della loro fede, che ritenevano potesse venir contaminata. Aveva scritto qualcosa su di loro, ma molto tempo prima. Non capiamo perché abbiano preso di mira Vittorio e se lo abbiano fatto di propria iniziativa o su indicazione di chissà chi. Anche perché il capo dell'organizzazione dei salafiti aveva smentito decisamente che ci fossero loro dietro il rapimento.

C'è un processo in corso, a Gaza. Ci credete?
Sono partiti con serietà e io riponevo fiducia nella loro giustizia. Poi tutto si è rallentato: testimoni che non arrivano, avvocati della difesa che mancano. Ora qualcuno che ritratta. Eppure sarebbe anche nell'interesse delle autorità di Gaza venirne fuori. Che mettano la parola fine, questo non cancellerà il dolore ma almeno ci consentirà di mettere in un angolo e chiudere la vicenda. Quando ci hanno scritto i genitori di questi giovani, chiedendo misericordia per i loro figli, noi abbiamo risposto che la pena di morte per noi non esiste: una morte per una morte non ridà la vita a nessuno. Però abbiamo chiesto loro l'impegno a dirci la verità, vogliamo che domandino ai loro figli il perché. Lo chiediamo noi, ma anche i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, che da giorni stanno celebrando e ricordando Vittorio in questo primo anniversario.

Avete sentito lo Stato vicino?
Non l'abbiamo sentito affatto. Certo, ci ha assistito in quei giorni, ma mi sembra il minimo. Poi, assolutamente niente, finché a febbraio il ministro della giustizia Paola Severino ci ha risposto che avrebbe dato incarico ai suoi uffici di mettere la testa nella vicenda. Il fatto è che la Palestina non è riconosciuta come Stato, e che Hamas è nella lista delle organizzazioni terroristiche. Ma Vittorio era in contatto con il consolato di Gerusalemme, noi sappiamo che l'Italia ha degli uomini a Gaza anche se non può dire ufficialmente che parla con Hamas. Potevano assistere al processo, almeno una volta. Questo ci fa male, molto male.

E la gente di Brianza?
Non so. Noi brianzoli siamo un po' schivi. Ho avuto tanti abbracci, tante manifestazioni da parte delle persone che incontro. Ma anche una certa reticenza, non so se soltanto nell'esprimere il sentimento o se questo non sia legato alla scelta che Vittorio ha fatto. C'è anche chi dice "se fosse stato a casa sua non succedeva", e queste sono delle piccole ferite al cuore. Certo, se non ti muovi dai tuoi confini, se guardi solo quello che c'è nei tuoi confini... Io queste persone non le giudico, ma vedo una certa ristrettezza mentale.

Cos'era Vittorio, un pacifista, un attivista, un rivoluzionario?
Scriveva "faremo delle nostre vite poesie, finchè libertà non venga declamata sopra le catene spezzate di tutti i popoli oppressi". In queste parole c'è la sua visione della vita. Cioè la lotta e la resistenza alla violenza. Diceva che a Gaza ci sono due tipi di resistenza: una armata, che ha avuto poco successo, e poi la resistenza quotidiana delle persone che, con grande dignità, vogliono continuare a vivere sulla loro terra, sul loro mare. E questo è l'esempio più vero di come si possa essere resistenti: senza combattere con le armi, ma proprio con quello che hai dentro, quello in cui credi.

Lei l'ha appoggiato nella sua scelta di impegno.
Nella nostra famiglia ciascuno ha sempre pensato che non si dovesse lavorare solo per sè. Da Ettore (il marito, recentemente mancato, ndr) che lavorò per creare la cooperativa e dare la casa a tanta gente di Bulciago, a mia figlia Alessandra, che fa l'assistente sociale e non conosce orari, notti o turni di riposo. Io, poi, mi rivedevo un po' in Vittorio. Ho sempre sognato di andare, di vedere, di conoscere popoli e non l'ho mai potuto fare. Ho conosciuto il mondo prima sui libri e poi con i suoi occhi. Lui diceva "io non credo nei confini, nelle bandiere, nelle barriere". E' una lezione di vita anche per me.

Un anno fa a Pasqua, qui a Bulciago, quel funerale che fu come una festa.
Mi ricordo, entrando nella palestra diventata una chiesa, il canto che accolse Vittorio. E poi le parole di don Celeste, che se lo ricordava bene da ragazzino, le parole di monsignor Capucci, quelle di don Nandino Capovilla di Pax Cristi. E di Davide Mattiello di Libera, quando ci donò la terra presa da un terreno confiscato alla mafia. E, alla fine di tutto, quella voce che intonò Bella Ciao, moltiplicata poi in centinaia di voci. Quella per noi è stata una Pasqua di Resurrezione».

Gli occhi di mamma Egidia sono lucidi, saluta con un abbraccio: «Certo, ci sono la mancanza e il rimpianto per quello che poteva essere e che non sarà. E i suoi bagagli arrivati da Gaza, ancora chiusi».

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