Lecco. L’alimentare soffre
Export giù e costi alle stelle

La guerra ha peggiorato i problemi di fornitura, Minuzzo (Mauri formaggi) avverte: «Condizioni difficili. È una situazione non sostenibile per molto tempo»

Blocco dell’export e rincari dei materiali: le aziende agroalimentari stanno attraversando un periodo di difficoltà, che sul lungo periodo daranno problemi importanti anche a livello di tenuta.

Il conflitto armato alle porte dell’Europa ha tagliato di oltre la metà del esportazioni del Made in Italy: in Russia si sono più che dimezzate (-50,9%), per effetto delle sanzioni e delle conseguenti tensioni sul commercio internazionale. I rincari, dal canto loro, hanno assunto contorni insostenibili, tanto da mettere a rischio lo stesso mantenimento di allevamenti e colture. Più di un’azienda agricola su dieci (11%) è in una situazione critica che rischia di comprometterne la sostenibilità economica, ma circa un terzo del totale nazionale (30%) si trova comunque costretto in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi di produzione.

La guerra impatta pesantemente sui bilanci delle nostre aziende agricole, che oltre a subire gli effetti di un interscambio internazionale bloccato sia in entrata che in uscita con Russia e Ucraina, risente in modo importante dei rincari dei prezzi delle materie prime e dei materiali usati per gli imballaggi.

In base all’indagine di Coldiretti, infatti, la quotazione dei fertilizzanti è letteralmente schizzata verso l’alto, con un incremento del 170%. Focalizzandosi sugli imballi, le cassette di legno e i contenitori in plastica sono oltre il 70%, mentre i barattoli di banda stagnata sono cresciuti del 60%. Non scherzano nemmeno cartoni di imballaggio (+45%), tappi in metallo (+40%), etichette (+30%).

Un quadro complesso nel quale si trovano ad operare anche le imprese lecchesi. «La guerra si è innestata su una situazione di difficoltà che si era evidenziata già nell’autunno 2021, quando avevano iniziato a concretizzarsi aumenti cospicui e inattesi su una serie di voci, dal costo dell’energia ai trasporti, dagli imballaggi al materiale di confezionamento, per non parlare della dinamica dei prezzi delle materie prime – spiega Emilio Minuzzo, dell’azienda Mauri Formaggi di Pasturo -. Il quadro era già molto complesso per questo strascico della pandemia e il conflitto non ha fatto altro che aggravarlo in modo consistente, andando a investire tra l’altro anche altri comparti di rilevanza strategica come quelli relativi a gas, petrolio e grano».

Il rischio, nel caso in cui queste fortissime tensioni su mercati e prezzi dovessero continuare a lungo, è di entrare in una spirale dalla quale sarebbe arduo uscire. «Se la situazione si protraesse a lungo, andremmo incontro a un contrarsi dei consumi che potrebbe assumere dimensioni consistenti, mettendoci di fronte lo spettro della recessione. Condizioni come quelle attuali, dunque, non saranno sostenibili nel lungo periodo: i problemi sarebbero grossi per tutto il Sistema Paese».

Paese che ha cercato, attraverso le misure messe in campo dal Governo, di reagire, provando quanto meno a limitare i danni legati all’autentica impennata dei beni energetici. «Tutte le iniziative finalizzate ad alleviare queste difficoltà sono positive, ma evidentemente servirebbe qualcosa in più, soprattutto quando l’ostacolo principale, nel nostro Paese, resta sempre e comunque quello legato a una burocrazia elefantiaca, che fa perdere tempo e denaro».

Preoccupato anche il presidente di Coldiretti Como Lecco, Fortunato Trezzi. «Gli effetti della guerra ricadono anche nella vita quotidiana di imprese e consumatori, con i rincari delle materie prime che, inevitabilmente, si ripercuotono su bilanci e previsioni di spesa».

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