Vita e romanzo, la vibrante attualità di Luigi Dottesio

“Il contrabbandiere di libri” di Pietro Berra verrà presentato giovedì 23 marzo nella via di Como intitolata al protagonista

Giovedì 23 marzo alle ore 21 Pietro Berra presenterà a Como il romanzo "Il contrabbandiere di libri”, nel Giardino di Tavà, sede del Teatro dei Burattini di Dario Tognocchi e Paola Rovelli, che si trova nella via dedicata al protagonista Luigi Dottesio (civico 1). Organizza Clio-Circolo dei lettori di Como, ingresso libero. Introduce Alessandro Dominioni.

Parlando della propria opera, il grandissimo scrittore e Premio Nobel Isaac Bashevis Singer disse una volta che la scrittura intesa come racconto è sempre qualcosa che viene “dopo”, perché si scrive e in ultima analisi si vive sempre “dopo la fine” di qualcosa. Si tratta di una verità che costituisce lo spunto per la proustiana ricerca del “temps perdu” ed è espressa anche in una bellissima frase di Nathalie Sarraute: «La vera vita degli uomini e delle cose comincia soltanto dopo la loro scomparsa».

Ai confini della “piccola patria”

Il paragone potrebbe sembrare piuttosto impegnativo, ma un romanzo come “Il contrabbandiere di libri”, nel quale Pietro Berra ha reinventato e ricreato la figura storica di Luigi Dottesio, lo regge davvero senza alcun problema. Non solo per la capacità di costruire un intreccio da romanzo dell’Ottocento (un giudizio, beninteso, che è già un complimento), costruito sulla continua alternanza dei piani prospettici, sulla precisa ricostruzione psicologica dei vari personaggi, restituiti nelle minime pieghe e sfumature, non da ultimo su un utilizzo della tecnica del flash-back che tradisce il narratore di razza, ma anche per l’intrinseca qualità della scrittura, sorretta da uno stile ricercato e sorvegliatissimo ma insieme arioso e di squisita limpidezza, da scelte lessicali sempre precise e puntuali, che rivelano un’attenzione maniacale -si vorrebbe quasi dire “poetica”, e infatti Pietro Berra è autore di molte raccolte di poesia- per la parola e il suo valore “fondante”, espressivo, non semplicemente e banalmente comunicativo.

I lettori di “Stendhal”, della pagina lariana del lunedì e de “L’Ordine”, l’inserto domenicale che Berra cura con acribia e competenza dal primo numero uscito nel 2013 (recentemente si è celebrato il decennale), avranno già avuto modo di apprezzare la sua enciclopedica conoscenza di cose e vicende lariane. Ma la conoscenza, la capacità e la competenza da sole non bastano, e quando non sono sorrette da una genuina passione e da un respiro più ampio rischiano di ridursi a nozionismo e perfino provincialismo, in un sorta di esaltazione regressiva del piccolo spazio, peggio ancora della “piccola patria”, quale unico orizzonte di riferimento.

Il merito principale dell’attività giornalistica e di ricerca di Pietro Berra, che si sono concretizzate in molte iniziative anche sul piano della valorizzazione del patrimonio storico e ambientale del territorio, consiste precisamente nella dimostrazione che il provincialismo è sempre una scelta, non una condizione data una volte per tutte. Si tratta in definitiva della vecchia ma sempre nuova verità di Dante: soltanto se si ama e reinventa Firenze, la “piccola patria”, ci si può sentire di casa nel vasto mondo come i pesci nel mare e si può pensare ai luoghi come autentiche dimore, come un orizzonte all’interno del quale abbia almeno una parvenza di senso la pretta fatalità biologica del vivere e dover morire. Anche questo paragone, non meno impegnativo, si dimostra del tutto plausibile dopo la lettura de “Il contrabbandiere di libri”.

Personaggio da riscoprire

Il libro è già stato ottimamente presentato e recensito su questa pagina da Mario Chiodetti nello scorso mese di dicembre, in un articolo che ha evidenziato soprattutto il fatto che “Il contrabbandiere di libri” merita di essere accostato e apprezzato come “il romanzo vero di un patriota”. La definizione è molto indovinata, perché “Il contrabbandiere di libri” è in effetti il “romanzo vero” dedicato a un “patriota” colpevolmente dimenticato o comunque in parte negletto, e poi perché costituisce l’approdo di una profonda passione che Berra nutre da tempo per Dottesio.

Dopo un lungo periodo di studi e ricerche e un incontro “fatale”, per così dire, con lo scrittore Gianni Biondillo e Milo Miler, un gallerista che nel 2015, insieme alla moglie Julia Kessler, ha salvato l’edificio secentesco di Capolago dove nel Risorgimento ebbe sede la “Tipografia Helvetica” e ha poi ridato vita alle edizioni, Pietro Berra è riuscito nell’impresa tutt’altro che scontata di estrarre Dottesio dalle nebbie del passato e da certi incagli e svagatezze della memoria, conferendogli una nuova vita che forse è la sua “vera” vita, quella che si vive “dopo”, come diceva Singer. E’ anche per questo motivo che c’è molto di simbolico nel fatto che il libro, frutto di una stesura durata cinque anni, sia stato pubblicato proprio dalla nuova “Tipografia Helvetica”, che nella sua versione originaria, se così la si può definire, costituisce il fulcro dell’intera vicenda.

Nel romanzo, infatti, rivive il personaggio storico di Dottesio, che fu un martire della libertà di stampa e venne impiccato nel 1851 a Venezia per aver diffuso libri vietati dagli austriaci e ritenuti invece da Mazzini “l’arma più potente” a disposizione dei rivoluzionari. Lo fece tra mille difficoltà e peripezie, avvalendosi dei cosiddetti “spalloni” attivi sui monti tra il Canton Ticino e il Lago di Como, ma anche di una rete di librai diffusa in tutto il Lombardo-Veneto. Rivive inoltre la sua impossibile e commovente storia d’amore (un autentico “amour fou” degno di Stendhal o di Musset) con Giuseppina Bonizzoni, una specie di versione risorgimentale della vicenda dei “Promessi sposi”. Ma nelle pagine de “Il contrabbandiere di libri”, in questo molto simile a “Daghela avanti un passo!” di Luciano Bianciardi (un altro paragone che è già un complimento), rivivono finalmente -e soprattutto- un Risorgimento affrancato da qualsivoglia losca retorica da discorso ufficiale e un’epoca storica di utopie e grandi speranze, che ha segnato la nascita dello Stato unitario in Italia e la costituzione svizzera del 1848.

«I ponti sono fatti per unire, basta percorrerli», dice Luigi a Giuseppina oltrepassando il Cosia. Cosa rimane oggi, quasi due secoli dopo, di quelle grandi speranze, cosa rimane del sacrificio di Dottesio e molti altri? Per quanto riguarda la vicina Confederazione elvetica, la risposta (molto amara) è stata fornita da un patriota critico come Max Frisch, che ha individuato in quel periodo l’ultimo frangente nel quale la Svizzera partecipò attivamente alla storia, prima di nascondersi dietro la foglia di fico della neutralità e trasformarsi in una piazza finanziaria e in un frigido paesaggio da cartolina.

Per quanto invece riguarda l’Italia, è probabile che Luigi Dottesio, come Giuseppe Garibaldi e molti altri dopo di lui, non potrebbe che dire, con la medesima amarezza: «Non è questa l’Italia che sognavo…». Sicuramente, aggiungiamo noi, non è “questa” l’Italia per la quale si è sacrificato. “Il contrabbandiere di libri”, per questo e altri motivi, si legge anche come un libro di vibrante attualità che lascia un retrogusto molto amaro, solo parzialmente mitigato dalla fragranza del tiramisù. Già, proprio il tiramisù. La cui invenzione, tra un contrabbando di libri e l’altro, tra grandi utopie e speranze, costituisce un momento tutt’altro che secondario della vicenda umana e dell’“amour fou” di Giuseppina Bonizzoni e Luigi Dottesio. Ai lettori il piacere (e il gusto) di scoprire il perché.

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