Malika Ayane: «Basta ansia
Ora mi diverto di più»

Alessio Brunialti intervista la versatile artista in arrivo sabato a Chiasso con il tour dell’ultimo album intitolato “Domino”

In dieci anni di carriera si è dimostrata un’artista versatile, sempre alla ricerca di nuovi territori musicali da esplorare, con una fortissima personalità vocale, alle spalle una serie di album molto diversi, ma uniti da una visione di arte in mutamento che si è ben concretizzata con “Domino”, l’ultimo disco, curatissimo fin dalla veste grafica d’autore, affidata a Federico Pepe, di Le Dictateur «Uno tra i più dinamici protagonisti della nuova scena indipendente dell’arte italiana», mentre le immagini portano la firma del fotografo Jacopo Benassi, “Noto per la sua fotografia diretta, indocile, crudele”. Malika Ayane approda al Cinema Teatro di Chiasso sabato 23 febbraio (biglietti da 70 a 20 franchi svizzeri), a pochi metri dal confine con Como dove, sempre dieci anni fa...

Dieci anni fa ci fu un bellissimo concerto ai giardini a lago, nella piazza della locomotiva.

E chi se lo dimentica? Fu bellissimo. Ero proprio agli inizi, la gente iniziava a conoscermi, ma ogni concerto era un mettersi in gioco.

Com’era la Malika di allora rispetto a oggi?

Forse un po’ più libera. Potevo aggirarmi indisturbata, dopo il sound check mi sono seduta sotto gli alberi con mia figlia, c’era un’atmosfera bellissima. Infatti mi piacerebbe fare un tour estivo così, in posti semplici, all’aperto, una vera e propria festa.

E dal punto di vista artistico, cosa dire alla Malika di dieci anni fa?

Di avere meno ansia da prestazione. Quel bisogno di essere brava, bravissima, per forza prima della classe. Forse tante cose divertenti che mi sono successe sarebbero state ancora più divertenti. Però sono molto soddisfatta, sono stati 10 anni incredibili.

Festeggiati con “Domino” che è studiatissimo fin dal packaging.

I dischi stanno diventando sempre meno importanti, dicono. Io non ne sono così convinta e il ritorno in auge del vinile lo dimostra. Certo, la gente, magari quella più distratta o che non ha tanto tempo da dedicare alla musica, la ascolta in streaming. Io quando ero ragazzina scaricavo, ma poi acquistavo i dischi che mi piacevano perché volevo averli. La musica è qualcosa di molto personale e io sono convinta che siano diminuiti quelli che la ascoltano. Forse sono un po’ distratti da un mondo molto veloce, ma ci sarà sempre voglia di qualcosa di tangibile. Sono un’ottimista, lo so...

A proposito, qual è la musica che gira intorno in questo momento?

Ho preso delle raccolte di... rap rudimentale, come posso chiamarlo? Proto rap: c’era tutta una scena in Inghilterra, a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta, che mescolava disco music, funk e rap, grandi groove, dei ritmi pazzeschi e delle voci anche un po’ ignoranti, molto divertente. Potrebbe essere un territorio da esplorare per un nuovo progetto.

A proposito di progetti, e qualcosa per Sanremo?

Perché no? Mi piacerebbe molto. È sempre un’esperienza importante, una bella vetrina e con la canzone giusta assolutamente sì.

Ma deve essere un brano semplice, molto immediato.

Che si faccia notare subito, come “Soldi”?

Sì, io sono convinta che se anche non avesse vinto avrebbe avuto comunque gli ottimi riscontri che sta avendo.

Anche senza tutte le contestazioni. Per certi versi la storia di Mahmood è simile.

Sì, anche lui è nato in Italia, a Milano proprio come me, da un padre straniero.

Però nessuno contestò l’“italianità” di Malika Ayane allora – e ci mancherebbe altro – in compenso si infuriò l’orchestra per l’esclusione di “Ricomincio da qui” dalla terzina finale.

Ma lui ha vinto, la differenza sta tutta lì. Penso al polverone scatenato attorno ad Achille Lauro e alla sua “Rolls Royce”, adesso chi ci pensa più? Ma se avesse vinto sarebbe stato ben diverso.

È stato un buon Sanremo?

Sì, secondo me sì. È stato il primo Festival che mia figlia ha guardato volentieri senza viverlo come un’imposizione della mamma.

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