«È come se fossimo
tornati dalla guerra»

Le testimonianze Famiglia di Monte Marenzo sulla Promenade negli stessi istanti dell’attacco terroristico. «C’era quel camion e troppa gente in giro, abbiamo deciso di tornare sui nostri passi: poi è stato il caos»

Il destino nella scelta della strada da fare per tornare a casa. È tutta lì, in quegli attimi che hanno spinto una coppia di Monte Marenzo ad evitare il tratto di Promenade più affollato per dirigersi nella direzione opposta, la fortuna di Roberta Barachetti e Luca Ravasio, che insieme al piccolo Michele si trovavano a poche decine di metri da dove, a loro insaputa, si stava consumando la strage.

A ripensarci viene la pelle d’oca: sarebbe bastato pochissimo (si erano già avviati nella direzione “sbagliata”) per fare di loro testimoni oculari (o peggio) di quanto il mondo conosce ormai molto bene.

Partenza tribolata

In effetti, già la partenza era stata sofferta. «Un’amica ha una casa a Nizza e quest’anno abbiamo deciso di accettare la sua offerta e di trascorrerci una settimana di vacanze – ci ha raccontato ieri Roberta -. Saremmo dovuti partire in cinque, domenica. Ma mio figlio maggiore, Samuele, è voluto restare per partecipare al funerale di Luca e Davide (i due ragazzi morti nell’incidente in moto di venerdì 8, nda). Così lui e un suo amico (Daniele, 18 anni) ci hanno raggiunto il mercoledì con il treno».

Il giorno successivo, quindi, spazio alla festa nazionale francese: «Hanno organizzato sfilate con carri e cavalli, concerti in spiaggia e i fuochi d’artificio la sera. Al termine dello spettacolo pirotecnico, Michele, che ha 5 anni, si è addormentato nel passeggino. Quindi, visto il caos e l’aria fresca, io e Luca abbiamo deciso di rientrare a casa».

Qui il colpo di fortuna, la scelta che determina il destino. «Ci siano indirizzati sulla Promenade, inconsapevolmente, verso il camion. Fatti pochi metri, il ripensamento: ci siamo guardati e considerato l’affollamento abbiamo deciso di tornare indietro e dirigerci dalla parte opposta».

Una decisione che potrebbe aver salvato la vita alla famiglia lecchese. «Sono trascorsi pochi istanti ed è scoppiato il caos: gente che correva e urlava, bambini che piangevano, persone che nella ressa cadevano a terra. Il panico totale. Non comprendendo bene la lingua abbiamo cercato di chiedere cosa stesse accadendo e qualcuno ci ha fatto il gesto del mitra. Il camion non l’abbiamo visto, ma gli spari, quelli li abbiamo sentiti bene».

Il figlio maggiore in discoteca

Immediatamente il pensiero è corso al figlio maggiore, che dovendo andare in discoteca con l’amico si era preparato con calma a casa. «Ero così spaventata che non riuscivo nemmeno a comporre il numero sulla tastiera, mentre scappavamo. E’ stato Samuele a chiamarmi, avendo visto il panico generale. Gli ho detto di tornare a casa e lì ci siamo ritrovati. Quella notte abbiamo ospitato due ragazze di Marsiglia terrorizzate, che la strage invece l’avevano vista».

L’indomani, inevitabilmente, tutti tappati in casa: due uscite soltanto, per comprare le brioche per la colazione e recuperare l’auto per tornare in Italia il prima possibile.

«Abbiamo avuto paura. Guardavamo fuori dalle fessure della tapparella con il terrore che qualcuno ci sparasse contro. Siamo tornati dalle ferie ma è come se fossimo stati in guerra. Non tornerò mai più in Francia: per ora non penso nemmeno di uscire più dall’Italia».

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