Zingaretti e Salvini
Perseveranti e vincenti

Nicola Zingaretti è l’uomo perfetto per guidare la riscossa della sinistra nel periglioso mondo dell’Italia sovranista. Pronti via e appena eletto segretario del Pd, parlando del Tav, ha subito ciccato un congiuntivo clamoroso, mentre pochi giorni dopo si è scoperto che possiede solo un “misero” diploma da odontotecnico.

Identikit perfetto per posizionarlo alla grande nel mainstream dei tempi che corrono, nei quali il sanguigno segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha sparato durante “Piazza pulita” un quintuplo fantozziano “vadi”, il vicepremier Di Maio litiga regolarmente e regolarmente soccombe con la consecutio temporum e l’altro vicepremier si attesta ormai al trentasettesimo anno fuori corso. Mentre l’unico della congrega plurilaureato e plurititolato, il premier Giuseppe Conte, è anche l’unico che lì dentro non conta una mazza. Metafore.

Ma il fatto che sul titolo di studio e sulla cultura sintattica di Zingaretti sia subito partita una polemica che, naturalmente, ha dato il meglio di sé nella fogna spumeggiante dei social, la dice lunga sulla confusione totale che governa il mondo. Ma come, abbiamo passato l’ultimo anno a dire e ridire e comiziare e ululare che ora basta con questa casta e queste élite e questi professoroni e questi saccentoni trincerati nelle loro terrazze radical chic e che ne sanno della vita reale e delle vere esigenze della “gggente” e delle sofferenze del popolo e andassero a farsi un giro nelle periferie e andassero a fare la spesa al mercato e parlassero dei problemi degli umiliati e offesi e la cultura è una roba da ricchi, da viziosi, da lazzaroni, da topi di biblioteca, insomma, da comunisti con il rolex e tutto il resto del caravanserraglio da osteria che ammorba la comunicazione televisiva e internettiana e appena un capo della sinistra si mette sull’onda giusta lo prendiamo a pesci in faccia? Ma insomma, l’analfabetismo è un’esclusiva dell’universo gialloverde? Perché non può essere patrimonio condiviso anche di un centrosinistra progressista finalmente sfrondato del vecchiume, tinteggiato di balayage e liberato dalla torre d’avorio e quindi pronto a mettersi al passo con i tempi?

La polemica è ridicola. Innanzitutto perché di politici caproni è sì piena la storia della terza repubblica, ma anche quella della seconda e pure della prima, che chi coltiva ancora il vezzo della memoria ricorda certi soggetti, certi quaquaraquà, certi sarchiaponi delle salmerie pentapartite del centrosud che hanno regalato risate omeriche a legioni di cronisti parlamentari. Poi, perché Zingaretti non avrà studiato alla Normale, ma di certo non è un analfabeta e tanto meno uno stupido. Infine, perché un conto è sbandierare competenze che uno non possiede - e su questo la politica recente e passata ha già offerto esempi spassosi - un altro è voler inchiodare le capacità tutte politiche di un leader solo e soltanto al suo titolo di studio. E questo è un errore dirimente. Sarebbe meglio non dimenticare mai che la politica è una brutta bestia, fatta di mille cose, di sangue e merda come diceva quello là, di nani e ballerine come diceva quello lì, ma anche di storia, di cultura, di appartenenza, ma anche di trucchi e raggiri, ma anche di passione e di visione, ma anche di bugie e di cialtronate, ma anche di studio e nozioni, ma anche e soprattutto di intuito ed empatia. E che il politico vero, il politico di razza, il vero animale politico è quello che annusa i sommovimenti sociali, intuisce le curve emotive dentro il ventre molle del corpaccione elettorale, anticipa i tempi e cavalca le pulsioni, ogni tanto governandole con strategia di lungo periodo - e qui allora abbiamo lo statista - e spesso invece surfando sui problemi, semplificando gli slogan e le ricette, ma restando sempre semplicistici e superficiali - e qui abbiamo il mero leader elettorale e nulla di più. E se è così, politici dal fiuto superbo, per quanto fallace, sono stati nella storia recente, checché se ne pensi, Bossi, Berlusconi, Renzi e Salvini, benché, per tutti quanti, si sia leggermente lontani dagli standard di De Gasperi e Togliatti.

Insomma, non è affatto detto che il massimo di cultura coincida con la politica migliore e questo conferma quel memorabile aforisma di Ray Kroc - l’inventore del McDonald’s - quando in tarda età gli venne chiesto quale fosse stata la dote fondamentale per creare dal nulla quel capolavoro. E lui, che fino a cinquant’anni aveva rastrellato schiaffi, insulti e porte in faccia come venditore porta a porta, come piazzista di serie B nell’America profonda, aveva detto: “Come diavolo fa un uomo di 52 anni, al tramonto, rappresentante di macchine per frappè, a fondare un impero del fast food con milleseicento ristoranti in cinquanta Stati e un’entrata annuale di settecento milioni di dollari? Una parola: perseveranza. Niente a questo mondo può sostituire la buona vecchia perseveranza. Né il talento - che c’è di più comune degli uomini di talento che non hanno successo? - né il genio - il genio non riconosciuto è ormai un cliché - e nemmeno l’istruzione - il mondo è pieno di cretini istruiti. Soltanto la perseveranza e la determinazione sono onnipotenti”.

E se è così - ed è così - Zingaretti è messo davvero bene. Dal suo risibile titolo di studio ha iniziato una silenziosa scalata del potere - segretario nazionale della sinistra giovanile, eurodeputato, presidente della Provincia di Roma, presidente della Regione Lazio - onorando tutta la trafila oscura e faticosa dell’uomo di apparato di provincia mentre ben altre stelle luminose illuminavano il cielo progressista, per poi finire come sono finite. In fondo, un percorso simile a quello di Salvini, che ha iniziato a masticare il pane duro della politica di retroguardia - altro che un Letta o un Di Maio qualsiasi - dai tempi di Tangentopoli.

Non due geni, quindi. E nemmeno dei cervelloni. Ma entrambi perseveranti. Magari ci si sbaglia, ma a occhio toccherà vederli in pista per un bel po’…

@DiegoMinonzio

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