Un’alba a Lecco
Non orrore ma pietà

E’ un’alba chiara, con un cielo azzurro velato di fine umidità, quella che si alza in una domenica di marzo, da Milano a Lecco, un’alba che sente i primi fremiti di una primavera che s’annuncia dopo un inverno grigio e piovoso.

In una palazzina della periferia lecchese a Chiuso nessuno ha tempo di guardare questo cielo: una giovane donna con ferite sul corpo, chiede aiuto ai vicini. E’ sconvolta perché dentro la sua casa ha finito di ricomporre, con un ultimo, disperato gesto di pietà, sul letto matrimoniale, i corpi
insanguinati e senza vita delle sue tre figlie che ha ucciso con due coltelli, sopraffatta forse dalla paura di un futuro che le si presentava troppo pieno di incognite e senza speranza. Lasciata dal marito, in viaggio per l’Albania, la loro terra d’origine, da solo, forse con un’altra donna; con lo spettro dell’indigenza davanti, non ha retto alla fragilità delle poche certezze, andate in frantumi, su cui poteva contare. Probabilmente anche lei voleva essere su quel letto, insieme alle sue bambine, forse quella forza distruttiva indotta dalla disperazione doveva “punire” anche lei, forse l’unico modo per sottrarsi al dolore, alla mancanza degli affetti, ad una vita che da sola forse sarebbe stata difficile da portare avanti.

Non giudichiamo: possiamo solo dire che non condividiamo queste scelte di violenza assoluta e distruttiva di tutto, non solo di sé, ma anche di coloro a cui si è dato la vita. La cronaca di questi mesi, anche nel nostro territorio, ci ha mostrato come sia in crescita la scelta violenta e senza appello, quella estrema della morte come possibilità di affrontare le difficoltà che la vita quotidianamente presenta. La crisi economica mostra quanto l’incertezza generale stia minando, indissolubilmente, anche la risposta dell’uomo al dolore, così che il disorientamento sociale minaccia e fa franare la lucidità delle coscienze, lasciando che sia il buio a dominare, quando la speranza scompare dai pensieri, perché nessun segnale porta a darle nuovo valore.

Non possiamo giudicare questa donna, che ha scelto la risposta suggerita dalla disperazione. Sarà lei a pagare il peso dell’essere stata lasciata da sola, sarà lei che dovrà fare i conti, non tanto con la giustizia, ma con il rimorso di quanto è successo in una notte in cui la coscienza si è annebbiata e la paura del futuro si è divorata tutta la sua intera esistenza e ha portato via, in quel cielo chiaro dell’alba lombarda, la bellezza, ferita a morte, delle sue tre figlie.

I titoli che annunciano la notizia parlano di “orrore”, un aggettivo che indigna, irrispettoso: non siamo al cinema, ma dentro una realtà di gente semplice, straniera, che comunque credeva nella possibilità di un’integrazione nel tessuto sociale in cui viveva. Allora invece di “orrore”, scrivo pietà e vicinanza per questa donna dagli occhi chiari che non hanno più voluto vedere la naturale semplicità della vita, perché questa stessa l’ha spaventata a morte, ma anche pietà e preghiera per le figlie di tredici, di dieci e di quattro anni, distese sul letto.

Tutto questo però non basta: bisogna riflettere anche su un altro aspetto che quest’ultimo gesto estremo indica come un’emergenza sociale. Affinchè la cronaca non diventi un notiziario di “stragi familiari” senza fine, è necessaria la prevenzione. Non ci riferiamo a questo caso in particolare, ma al fenomeno in genere, dal quale emerge il senso di uomini e donne fragili, lasciati soli, senza nemmeno il supporto dell’ascolto che può essere già una consolazione rispetto all’incognita del futuro.

La crisi economica ha visto tagli drastici nel settore del sociale: è un errore gravissimo, un’omissione che non può farci permettere di scrivere “orrore”, perché in questi drammi familiari vanno valutati non solo i gesti estremi, ma anche le nostre omissioni. Che cosa abbiamo fatto per far sì che tutto ciò non potesse accadere? Quale supporto abbiamo dato, in termini concreti, per sostenere queste fragilità? In che modo ci siamo messi in gioco affinchè queste solitudini potessero essere sostenute insieme, per trovare altre risposte? L’alba insanguinata nel cielo chiaro di Lecco non è “orrore”, ma diventa un’accusa impietosa alle nostre, troppe inadempienze.

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