Sul banco degli imputati
’ndrangheta o cronisti?

Anche se a qualcuno potrà sembrare il contrario, qui non stiamo giocando. E ogni volta che ci sediamo di fronte a una tastiera per scrivere un articolo, non lo facciamo per hobby, per scherzo o, peggio, per calcolo. E questo vale, soprattutto, quando diamo conto di persone accusate di reati gravissimi, come i nove imputati protagonisti del processo in corso a Como e che, secondo l’antimafia, avrebbero scientemente alzato il livello dello scontro a Cantù per conto dei clan.
Ieri quel processo ha preso il via con lo sport più antico della storia, da Gutenberg in poi: «Tutta colpa degli odiati giornalisti».

Spieghiamo. In apertura di udienza l’avvocato Ivana Anomali, che difende uno degli imputati, ha chiesto alla presidente del Tribunale, Valeria Costi, di ammonire un gruppo di cittadini e politici canturini che si sono presentati in aula con un adesivo sul petto: “cittadino di Cantù”. Si tratta di una risposta - arrivata peraltro dopo parecchie udienze - alla mancata costituzione di parte civile del Comune. «Non è corretto né rispettoso delle istituzioni», ha chiosato l’avvocato prendendosela non già per la presenza del pubblico, ma degli adesivi esibiti anche da futuri candidati alle comunali. A questo punto un altro avvocato, Franco Gandolfi, ha pensato di giocare la carta ad effetto: «Gli articoli di stampa su questo processo hanno creato un clima ingiustificato. Arriveremo ad avere gli striscioni e il tifo da stadio in aula».

Sarebbe potuto rimanere il classico sfogo di chi è rimasto senza frecce nella faretra (e, quindi, finisce per prendersela con i giornalisti che tanto non sono né amati né particolarmente simpatici), non fosse per il commento con cui la presidente del Tribunale sperava di spegnere sul nascere la polemica dei legali. E che, anziché respingere l’attacco ai cronisti come inaccettabile, ha commentato: «Ammonisco la stampa sui toni, per evitare la legittima suspicione».

Con una delegittimazione ufficiale di questo tipo al ruolo della cronaca giudiziaria, nel corso dell’udienza pure un imputato - non l’ultimo degli ultimi, ma uno accusato di associazione di stampo mafioso, già condannato per aver sparato a Ludovico Muscatello, nipote del capo della ’ndrangheta di Mariano Comense - si è sentito in diritto di attaccare pure lui «il circo mediatico». Che non vuol dire assolutamente nulla, ma fa sempre effetto.

L’autodifesa, in questi casi, lascia sempre il tempo che trova. E viene spesso confusa con una difesa della categoria, anziché di un principio sacrosanto della nostra democrazia. Il commento finale dell’editoriale lo lasciamo quindi alle parole del pubblico ministero antimafia Sara Ombra, intervenuta per respingere con forza la delegittimazione della stampa - peraltro in un’aula che non ha certo bisogno di motivi ulteriori per scaldare il clima - da parte dell’avvocato.

«Questi attacchi sono del tutto fuori luogo. Non starò neppure a scomodare i principi costituzionali che legittimano e tutelano il ruolo della stampa. Gli articoli pubblicati in queste settimane sono la legittima espressione del lavoro dei cronisti. Risponde a un principio di civiltà presentare e raccontare quello che avviene. Non capisco quale sia il problema. La giustizia è amministrata in nome del popolo italiano. Per questo motivo le udienze sono aperte al pubblico. Il racconto di quello che avviene in quest’aula è un comportamento assolutamente lecito così come l’importantissimo ruolo informativo dei giornali».

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