La nostra politica
è rimasta al 1994

Ieri sera su Sky è partita la serie tv “1994”, ultima della trilogia che vuole ricostruire con esiti più o meno felici, gli anni del grande cambiamento che travolse soprattutto attraverso la via giudiziaria quasi tutti i partiti della Prima Repubblica. Da allora e sono passati 25 anni non sembra cambiato granché, soprattutto nel rapporto tra la politica e gli italiani. Al di là delle riletture di quell’epoca, dei ripensamenti propri anche dei protagonisti della dirompente azione di procure e tribunali di fronte all’esito ben poco edificante della loro opera soprattutto sul fronte della qualità del nuovo ceto politico sorto per poi, in parte, dissolversi sulle ceneri di avvisi di garanzia e sentenze di condanna, sono rimaste nell’opinione pubblica la stessa incertezza e la medesima ricerca spasmodica del “nuovo” che all’epoca contribuì non poco alla strabiliante vittoria di Silvio Berlusconi sulla “formidabile macchina da guerra” che Achille Occhetto pensava di aver allestito in vista di uno storico assalto al palazzo dei post comunisti riuscito invece qualche anno più tardi a uno dei più accaniti avversari interni dell’allora segretario del Pds, Massimo D’Alema. Chi, oltre a Berlusconi, da Prodi a Renzi, a Salvini, a Grillo è riuscito a conquistare una leadership politica, lo deve proprio a quello “spirito del 1994” che è rimasto intatto tra i cittadini e elettori. Certo, a cambiare tutto è stato il crollo del Muro di Berlino e la fine del mondo diviso in due blocchi. Da lì è stata scongelata la politica italiana e sono stati tolti i freni all’azione dei giudici.

Ma dopo il terremoto non vi sono state le classiche scosse di assestamento che, in geologia, riportano un assetto stabile, bensì tutta una serie di altri eventi tellurici. Uno riguarda proprio la prematura fine della prima esperienza di governo del Cavaliere dovuta al tradimento dell’alleato leghista Bossi più che dall’avviso di garanzia emesso contro di lui dalla procura di Milano. È stato il primo ribaltone maturato dentro i giochi di palazzo con il presidente del Consiglio uscente, alla guida del partito di maggioranza relativa e reduce da un successo elettorale alle europee, che invocava le elezioni. Vi ricorda nulla? Certo Matteo Salvini non era il presidente del Consiglio e non è stato tradito se non, stando ai pissi pissi da Zingaretti e Renzi che gli avrebbero garantito il sostegno alla mozione di sfiducia contro Giuseppe Conte. Ma per il resto è la storia che si ripete. Anche il successo di Prodi e dell’Ulivo, la nascita del Pd, l’ascesa di Renzi, Grillo e dello stesso Salvini stanno tutti in quel clima maturato nel 1994 con l’attesa messianica di qualcuno che possa davvero mettere a posto le cose nel Paese, salvo poi abbandonarlo una volta preso atto che le aspettative sono andate deluse. Una società e un paese che faticano a ritrovare una stabilità politica, in barba a tutte le leggi elettorali che si sono susseguite in questo quarto di secolo. Ma anche una comunicazione che, pur con il trasloco dalla televisione ai social, entrambe piazze virtuali che dal 1994, con il discorso della discesa in campo di Silvio Berlusconi, hanno mandato in pensione quelle reali, è ancora la stessa.

Ciò che è rimasto di quell’epoca è anche il malcostume dei cambi di “casacca” dei parlamentari pronti a migrare in un partito diverso da quello in cui si sono candidati alle elezioni per mera convenienza personale. E neppure è mutato più tanto, lo dimostrano i tanti procedimenti giudiziari che coinvolgono uomini politici, il fenomeno della corruzione, così come un certo condizionamento della politica da parte della magistratura, cominciato proprio in quell’anno con la famosa intervista al Corriere di Francesco Saverio Borrelli, capo del pool di Manipulite che invitava a non candidarsi coloro i quali avevano scheletri nell’armadio. Un 1994 lunghissimo: 25 anni. E che chissà quando finirà.

@angelini_f

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