Il bambino di Aleppo
e quelli di S. Giovanni

Ci sono due Como che si approcciano in maniera diversa, spesso opposta, all’emergenza migranti. La prima è quella dei tanti volontari, delle associazioni, delle parrocchie e degli operatori sanitari che hanno deciso di spendere parte del proprio tempo per accudire, curare e gestire queste persone. Una Como che, al di là del valore umanitario, svolge anche un ruolo sociale fondamentale e che arriva dove le istituzioni non riescono o non vogliono intervenire. Perché pensate cosa sarebbe successo se i migranti fossero stati lasciati da soli a San Giovanni e nei giardini della stazione provati da un lungo viaggio allucinante, affamati e senza la possibilità di lavarsi o di essere visitati.

C’è poi l’altra Como, quella di chi vive questo fenomeno, finora inedito ma destinato a perpetuarsi se non cambierà il quadro giuridico a livello europeo e politico nei paesi di origine di questa gente, con fastidio, paura e inquietudine e, in qualche caso, è inutile negarlo, venature razziste. È il popolo che si sfoga in prevalenza sui social network, lo testimoniano anche il nostro sito e la nostra pagina Facebook tempestati di commenti contro tutto: i migranti in stazione ma anche l’imminente arrivo delle unità abitative nell’area ex Rizzo, il fatto che si lavori con tempestività per allestire lo spazio ma anche la lentezza con cui si affronta la questione. Al netto delle derive estremiste, si tratta di reazioni non condivisibili ma in parte comprensibili e spiegabili. Derivano dal clima di paura in cui siamo immersi a causa della follia criminale dell’Isis che ci rende ancora più diffidenti e disorientati nei confronti di chi percepiamo come “diverso” da noi. E poi ci sono le certezze sociali spazzate via dalla lunga crisi economica: quella del lavoro e di un welfare ancora sostenibile. Una realtà che porta molti a denunciare un presunto squilibrio nell’assistenza tra i “nostri” indigenti e chi arriva da un altro continente. Spesso si tratta anche di mancanza di informazione perché la rete di solidarietà pubblica e sussidiaria non fa distinzioni. E comunque provate a immaginare le reazioni di fronte all’ipotesi di collocare nei container dell’ex Rizzo o di un’altra area cittadina dei comaschi in difficoltà economica? Si griderebbe al ghetto e all’inadeguatezza degli aiuti.

Ecco perché sarebbe opportuno fermarsi un attimo a riflettere e cercare di comprendere le cause di una situazione, quella della massa di migranti bloccati in città, che certo crea disagi e difficoltà, ma non per questo può essere liquidata con il tranchant “rimandiamoli a casa loro”. Perché questa reazione deriva solo, non dalla richiesta di una soluzione del problema, ma dal desiderio di non trovarselo più davanti agli occhi. A chi rimpiange Gheddafi che dalla Libia riusciva a regolare i flussi di disperati diretti in Europa non interessa con quali metodi, quasi sempre disumani, il dittatore espletasse la pratica. Tanto nessuno vedeva. Questo approccio però rivela una carenza intollerabile: quella dell’umanità una dote che tutti possediamo e dobbiamo sapere usare. La stessa umanità che deve animare anche le azioni di chi, al di qua e al di là del confine, si occupa degli aspetti burocratici legati ai migranti. Ci siamo tutti commossi con la foto del bambino ferito di Aleppo, divenuta virale negli stessi social invasi dai commenti contro i migranti di Como, Milano e Ventimiglia. Di fronte al dato, confermato dall’organizzazione Save the Children che circa la metà di queste persone sono minorenni non accompagnati, bambini e adolescenti che hanno perduto i loro genitori o stanno cercando di ritrovarli, si oppone ostilità o se va bene, indifferenza. Forse perché quella del piccolo e sventurato siriano è appunto solo un’immagine, mentre gli altri sono carne viva che sta a poche centinaia di metri da noi, dalle nostre case, dalle nostre famiglie. Bisognerebbe riflettere anche sulla strumentalizzazione politica non sempre responsabile di questi comportamenti. Le grandi tragedie del Novecento sono quasi tutti state innescate dall’ostilità, dall’intolleranza dalla paura nei confronti del diverso. Quando la frizione della politica scappa è difficile fermarsi. Insomma, le due Como che in questi giorni sembrano divise da un muro di incomprensione dovrebbero contribuire a trovare un approccio a un problema che, nella sua imponenza, non può essere solo dogmatico.

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