I nuovi italiani
sono peggio
dei vecchi

I nuovi italiani sono talmente nuovi che assomigliano a quelli vecchi. Sbagliamo a farci impaurire dal governo giallo-verde, dalle sue dirette facebook iraconde, i suoi post rivoluzionari, i suoi tweet roboanti, perché così facendo ci sfuggono alcuni dettagli antropologici veramente spassosi.

Il più recente, e che ha regalato momenti di grande ilarità a chi ormai conosce il giro del fumo, riguarda il premier Giuseppe Conte che, nel silenzio generale, giusto domani avrebbe dovuto sostenere l’esame per la cattedra di professore ordinario in Diritto privato alla Sapienza di Roma. L’obiettivo era quasi raggiunto sennonché una bravissima cronista dell’autorevole sito - straniero, ovviamente - “Politico Europe” ha reso pubblica la notizia di questo oggettivo caso di clamorosa inopportunità che gli impedirebbe di concorrere per una cattedra, considerato l’incarico che ricopre, oltre al fatto che esiste una legge del 2010 che vieta ai funzionari dello Stato di ricoprire posizioni presso università finanziate con fondi pubblici. Ma insomma, avete mai visto un presidente del consiglio che si fa valutare assieme ad altri candidati da una commissione composta da professori universitari, che sono suoi sottoposti? E quando il rettore, come se niente fosse, ha ribadito che sarebbe stato esaminato con assoluta imparzialità e che il suo ruolo non avrebbe influenzato la decisione “impeccabile” dei commissari, è stato sommerso dalle risate.

Ma non è finita qui. Quella cattedra era dell’ex docente e mentore di Conte, appena andato in pensione e grande difensore della sua scelta, e se è vero che la domanda è stata fatta prima di diventare capo del governo è anche vero che la prima riunione della commissione esaminatrice è avvenuta il primo agosto e nessuno – nessuno! – ha eccepito sul premier candidato e che lo stesso premier ha passato la prima selezione a settembre e che la scuola di giurisprudenza della Sapienza si è “dimenticata” di pubblicare i risultati sulla pagina del concorso, così da arrivare all’appuntamento del 10 settembre nel più assoluto anonimato. E nella più assoluta distrazione di quotidiani, televisioni e social media, che passano le giornate a infarcirci la testa di gattini arruffati, trottolini amorosi, strateghi paonazzi che minacciano di invadere la Polonia, economisti del Bar della Pesa che falciano il grano a torso nudo e che invece dovrebbero impiegare il loro tempo a controllare e ricontrollare e ricontrollare ancora tutto quello che combinano i nostri statisti quattropuntozero. E invece tutti a dormire, tanto è vero che è dovuto arrivare un organo d’informazione estero per mettere alla berlina il premier e permettere così - il giorno dopo, sempre il giorno dopo… - al rutilante mondo dei media di trombonare e catoneggiare e catechizzare i magheggi del Conte-Barone.

Naturalmente la vicenda ha scatenato le ire moraliste dei sepolcri imbiancati e di quel che resta della sinistra, che però si è dimenticata che lo stesso simpatico giochetto era stato architettato da Visco e Diliberto (eh sì, Diliberto: ci fu un tempo in cui c’era Diliberto ministro…) con tanto di cattedra arraffata alla faccia del ruolo governativo. Comunque Conte, vista l’oggettiva figura di palta, ha annunciato la marcia indietro in una divertentissima conferenza stampa, tutta zampillante di “non ricordo”, “avevo rimosso”, “da giurista non dovrebbero esserci problemi”, “impegni istituzionali mi impediscono di sostenere l’esame” e altre amenità assortite davvero taumaturgiche per chiunque soffrisse di problemi di autostima. Anche perché, per dare quella pennellata di grottesco che non manca mai nella storia di questo povero paese, sulla trasparenza della vicenda vigilerà l’ex inviato delle “Iene” Dino Giarrusso, fresco di trombatura elettorale (un grillino che di ‘sti tempi perde il seggio: deve essere davvero un genio…) e subito ricompensato con un posto al Miur in qualità di controllore dei concorsi universitari. E con questo - parafrasando Totò e Peppino De Filippo - ho detto tutto.

Ora, a parte il fatto che vedere un premier in carica che già si cerca un nuovo lavoro la dice lunga su quanto sia profondo il suo orizzonte politico e quanto confidi nella sua permanenza a Palazzo Chigi, pensate solo un attimo a cosa sarebbe successo se una furbata del genere l’avessero combinata Renzi o Berlusconi o, peggio ancora, Macron o la Merkel, i cattivoni dai quali derivano tutti i nostri guai, non dal fatto dall’essere noi dei cialtroni che se ne fregano di norme e regole. Dopo un nanosecondo dall’aver saputo che volevano farsi assumere da un’università pubblica il cui finanziamento dipende anche dal governo, si sarebbero radunate torme di descamisados, sciami di tricoteuse, nuguli di sciuscià, plotoni di contadini, studenti, operai, reduci e produttori con le picche in mano, falangi di avanguardie leniniste della rivoluzione permanente a ululare al colpo di Stato, all’onta nazionale, alla soperchieria, all’abuso di potere, al familismo, all’autoritarismo, al ducismo, al fascismo. Adesso invece, visto che i padroni del vapore sono loro, abbiamo dovuto sentire la ministra grillina Lezzi - una volta pasionaria incendiaria, oggi la cugina di Rumor - derubricare il fatto a “cosa secondaria”. Tutto vero.

Ah, gli italiani. Noi italiani. I soliti italiani. I rissosi, irascibili, carissimi italiani. Aveva ragione Mussolini: pensare di cambiare gli italiani non è impossibile, è inutile. Non c’è verso di educarci, a noi italiani, metafore viventi di una delle più inossidabili verità della vita: i luoghi comuni sono belli perché sono veri. C’è sempre un baffo nero mandolino, sempre un parcheggiare in terza fila tanto qui è tutto un magna magna, sempre un a posto io a posto tutti, sempre una parrocchietta, un’amicizia untuosa, una spintarella per mogli, figli, parenti, amanti. E, soprattutto, sempre un posto fisso alla Checco Zalone, perché quello di premier è a termine e bisogna già pensare al futuro.

@DiegoMinonzio

© RIPRODUZIONE RISERVATA