Como: il segreto
è mettersi in gioco

Sabato scorso Como è esplosa. Migliaia di persone hanno assiepato l’area tra il Tempio Voltiano e il Monumento ai caduti per partecipare a Wow Music Festival. In contemporanea, a Villa Olmo, l’ultima giornata di appuntamenti di Parolario registrava il più alto numero di presenze grazie a una terna giornalistica d’eccezione: Fittipaldi, Giordano e Caprarica.

Non è finita: in piazza Cavour una folla si è fatta trascinare dalla Taranta salentina senza dimenticare che sul lago era innumerevole il pubblico per i fuochi di San Giovanni e anche il Lake Como film festival si svolgeva davanti a una platea gremita. Alla faccia della città morta o, almeno, sonnacchiosa che vogliono dipingere alcuni. C’è chi organizza, ma soprattutto chi prende parte a manifestazioni coraggiose, perché a dar retta a chi ha recitato anzitempo il De profundis, qui non si può fare niente, non si dovrebbe fare niente. Il segreto è mettersi in gioco e, in questo caso il progetto 200.com del Teatro Sociale ha percorso i tempi. Nel 2012, quando l’idea ha preso piede, poteva sembrare un azzardo multiplo. Perché chi lo avrebbe immaginato che quei comaschi proverbialmente musoni, chiusi, poco inclini alla discesa in campo, quegli stessi comaschi avrebbero risposto in massa all’invito di Barbara Minghetti. Cantare, suonare, ballare sui “Carmina Burana” per celebrare i duecento anni del teatro cittadino, un teatro rinato grazie a Aslico che lo ha aperto a tutti, non più luogo d’élite, ma popolare senza - importantissimo - rinunciare alla qualità. Eccolo il secondo azzardo. Ma questi comaschi che cantano sotto la doccia, che han preso qualche lezione di violino in gioventù perché lo voleva la mamma, questi ragionieri, avvocati, commercialisti, insegnanti, gente comune che non aveva mai messo piede su un palcoscenico, costoro sarebbero davvero stati in grado di portare nell’Arena del Teatro Sociale una versione presentabile del capolavoro di Orff. Lo hanno fatto eccome. Anzi, il risultato è andato oltre ogni più rosea previsione e non c’è solo quello che si vede, ma nella lunga sequenza di prove c’è chi ha scoperto doti che non sapeva neppure di possedere, chi ha risvegliato talenti sopiti da decenni, sono nate amicizie, compagnie, è nata una vera e propria famiglia allargata unita da questo “Progetto per la città” che si è realizzato sotto ogni punto di vista. E si è ripetuto l’anno successivo con la “Cavalleria rusticana”, quello dopo ancora con “Pagliacci”, ora con “L’elisir d’amore”, applaudito ieri sera da un pubblico eterogeneo quanto i figuranti impegnati a interpretare, ognuno a modo suo, l’opera di Donizetti (ed è doveroso aprire una parentesi per sottolineare la difficoltà progressiva di queste produzioni: “Elisir dura quasi il doppio degli altri melodrammi allestiti nelle precedenti

edizioni, bravi!). Intanto questo spirito di aggregazione si diffonde. È in fondo, lo stesso che ha animato un’altra coloratissima e felicissima manifestazione quale è stata la Parada par tücc. C’è, naturalmente, qualche sacca di resistenza, c’è sempre chi nega l’evidenza e chi rimprovera gli entusiasti ammonendo severamente che i problemi della città sono tanti, che tutte queste manifestazioni non li risolvono (in effetti no, perché dovrebbero?). Invece, diamo retta a Gaber: libertà è partecipazione. Se questo spirito arrivasse anche a mutare qualcosa nello spirito di questa città, rendendola più propensa a impegnarsi e meno incline a incrociare le braccia aspettando che altri (chi, poi?) risolvano tutti i problemi, avremmo davvero scoperto il più efficace degli elisir.

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