C’è il male nella vera
natura dell’uomo

In un passaggio spietato e memorabile dei “Pensieri”, Blaise Pascal ricordava “come è vuoto di bene e come è pieno di immondizia il cuore dell’uomo”. E quanto la polizia e la moda, la paura e le belle maniere, la prigione, il salotto e la corte - cioè l’educazione, il diritto, la civiltà - non avessero cambiato per nulla lo spaventoso stato di guerra di tutti contro tutti, l’odio degli uomini tra loro: “Al fondo dell’uomo, non c’è che odio”.

La riflessione del grande filosofo francese - uno dei giganti del pensiero cattolico, teologo di gran vaglia che sull’analisi della natura degli esseri umani, sul paradosso dell’esistenza, sulla caducità del vivere e sulla scommessa della fede ci ha regalato pagine profondissime e commoventi - si dimostra decisiva per orientarci nel dibattito esploso dopo due atroci episodi di violenza avvenuti nei giorni scorsi. Lo stupro di una giovane da parte di due ragazzi a Viterbo e le torture, le sevizie, le persecuzioni di una banda di adolescenti ai danni di un povero disagiato psichico, poi morto, a Manduria. Casi orribili, resi ancora più orribili da due fatti: l’utilizzo dei cellulari per filmare e poi diffondere le immagini dello stupro e delle vessazioni; la protezione ignobile da parte dei familiari dei primi e dei secondi, che tutto sapevano e che tutto hanno nascosto per salvare i figli dall’arresto.

Bene, la risposta collettiva a questi eventi di cronaca è stata univoca e oggettivamente comprensibile: il vero responsabile di tutto è il vuoto morale scaturito da famiglie inesistenti, da ambiti socioculturali degradati, da contesti affettivi inesistenti o insani. È lì il punto, lì il problema, lì la radice di una degenerazione frutto di un mondo allo sbando, di una struttura sociale deflagrata, di nuclei familiari disgregati e incapaci di offrire i minimi standard educativi, etici, morali. Se le famiglie fossero perbene, se la scuola offrisse un servizio pedagogico impeccabile, se la formazione dei ragazzi si incanalasse dentro binari consolidati e rigorosi, se ci fosse lavoro e gratificazione e opportunità e palestre e biblioteche, insomma, se abitassimo nel migliore dei mondi possibili, tutto questo non accadrebbe mai. Non è logico, non è ovvio pensarla in questo modo?

Beh, non è così. Non lo è affatto. E noi, per quanto tutte le circostanze ci spingano verso un ragionamento di questo tipo, sbagliamo completamente bersaglio perché così facendo non capiamo la vera natura dell’uomo, proprio quella analizzata in modo così lucido da Pascal. Noi siamo ancora prigionieri del pensiero maestro di Rousseau - quello vero, non quella buffonata legata alla nostra politichetta da quattro soldi - che teorizza l’essenza pura, cristallina, immacolata dell’essere umano allo stato di natura e la corruzione operata su di lui da una società sbagliata, oppressiva e iniqua. E quindi basta creare una società giusta, una società perfetta per preservare la purezza dell’uomo e garantirgli un’eterna felicità. Che però - detto per inciso - è pure la pietra d’angolo dei totalitarismi della storia contemporanea, tutti figli deformi del pensiero roussoiano: chi prepara il mondo ideale è lo stesso che allestisce i gulag e i lager. Ma questa è un’altra storia…

L’uomo non è quella roba lì, un essere buono rovinato dalla società. L’uomo porta dentro di sé il peccato originale della sua colpa e non c’entrano assolutamente nulla ricchezza o povertà, istruzione o ignoranza, padri probi ed esemplari o madri ubriacone e perverse, nord o sud, Alpi o Piramidi, Manzanarre o Reno. L’uomo. Il suo mistero. Le sue pulsioni. Il suo lato irrazionale e insondabile. I suoi livori. Il suo solipsismo. La sua foja. I suoi fantasmi. Il suo Raskol’nikov. L’uomo che stupra, come a Viterbo. Lo ha sempre fatto e lo farà sempre ed esiste un filo rosso che lega nell’infamia figli di papà, piccoli borghesi e scappati di casa delle periferie. L’uomo che vessa e picchia e umilia e sfregia lo scemo del villaggio, il matto del paese, il debole, l’inerme, il diverso. Lo ha sempre fatto e sempre lo farà, che siano ragazzotti violenti o studenti universitari esemplari o impiegati avviluppati dalla frustrazione del sabato sera. L’uomo. L’uomo in branco. L’uomo ammassato, raggruppato, massificato, privo di volto, bestia succube del richiamo della foresta, dell’assalto ai forni, del dagli all’untore. La massa e il potere. Il demagogo e i suoi servi. Il pensiero unico e i suoi scriba.

Era una criminale genetica la mamma di Cogne? Erano famiglie di brutta gente quelle di Erika e Omar, di Pietro Maso, di Luigi Chiatti, dei massacratori del Circeo? Erano genitori dissoluti quelli dei volenterosi carnefici dei totalitarismi rossi e neri? Quanti poveretti senza arte né parte, ma integri e specchiati, abbiamo conosciuto nella nostra vita? E quanti benestanti, colti e integrati, ma viziosi, vigliacchi e sordidi? Qui non ci sono risposte, ci siamo addentrati negli abissi della natura umana, territorio imperscrutabile, mistero esistenziale se ce n’è uno e sul quale, purtroppo, la civiltà non ha alcuna presa, visto che l’umanità al suo massimo grado di civilizzazione è quella stessa umanità che ha prodotto il secolo più sanguinoso e sterminatore della storia: il Novecento.

È ovvio che la famiglia, i valori, le relazioni, l’istruzione siano capisaldi centrali della nostra vita sociale e che tutti dobbiamo lavorare per diffonderli e consolidarli. Ma non caschiamo nel tranello del politicamente corretto, non illudiamoci che esista alcuna sorte magnifica e progressiva, non dipingiamo gli esseri umani per quello che non sono. C’è il male dentro l’uomo. In qualsiasi epoca, in qualsiasi latitudine, in qualsiasi condizione sociale. È lì dentro e cova e briga e trama e pulsa e plagia. Tutta la nostra fatica di vivere deve essere concentrata sul reprimerlo, comprimerlo, soffocarlo, perché basta un attimo di perdizione per vedere le strade del mondo popolarsi di anime tormentate e di demoni.

@DiegoMinonzio

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