Anche il male
ha la sua pietra
d’inciampo

Il male, in fondo, può anche essere un compagno con cui stare, qualcosa che lentamente ci pervade e ci abita. A volte se ne sta zitto, altre grida forte, costringe all’azione, oppure lavora di fino, scavando nella mente e inventando strategie subdole, costringendo a cercare alleanze, a contagiare che sta vicino e a cui, forse, si vuole bene. Così la coscienza si spegne e il lavoro viene premiato con l’annullamento del nemico, della persona che improvvisamente diventa un peso fastidioso, un ostacolo ai piani di fuga da una realtà che il male piano piano si inventa e costringe ad assecondare.

Un anno dopo la scomparsa di Laura Ziliani e otto mesi dopo l’arresto di Mirto Milani e delle due figlie dell’ex vigilessa, Silvia e Paola Zani, con l’accusa di omicidio premeditato, il male ha deciso di manifestarsi con le parole, di raccontarsi e raccontare come un giovane uomo di cultura superiore alla media, con un animo si suppone sensibile, si sia potuto trasformare in un assassino, cercando e trovando una complicità totale nelle due ragazze e inventando con loro una macabra rappresentazione.

Ci si domanda da dove sia nato tutto ciò, quale sia stata la frana che abbia deviato il corso di tre vite normali, forse troppo, in quella provincia un tempo serbatoio di genialità e originalità e oggi contenitore di disagi, odî e rancori, invidie e gelosie, rivalse e desideri proibiti, con famiglie che si disgregano, padri che uccidono i figli, figli che vogliono tutto e subito, eliminando l’ostacolo dei genitori.

Laura Ziliani aveva una personalità forte, una sua indipendenza, cercata e voluta dopo la tragica scomparsa del marito, sepolto da una valanga, non aveva problemi di denaro, si godeva la vita e alimentava la sua grande passione, camminare in montagna. Troppo per personalità deboli come quelle di Silvia e Paola, in cui il male lavorava lentamente ma inesorabilmente, senza però urlare così forte di rabbia e odio da spingerle da sole all’azione. Ci voleva l’innesco, e a quello ci ha pensato Mirto Milani da Olginate, l’intellettuale, la mente sottile, lo stratega del crimine, fidanzato ufficiale della maggiore e amante della minore, una personalità complessa, il bravo ragazzo che suona l’organo in chiesa e ha molti amici musicisti su Facebook, il laureato in psicologia che frequenta il Conservatorio dove studia canto barocco per diventare contraltista.

In lui il male ha qualcosa di teatrale, segue una sceneggiatura un po’ zoppicante ma efficace con le due ragazze, che sono pilotate da lui nelle diverse recite per la polizia e perfino la televisione, e nella messa a punto del piano per eliminare colei che nei loro disegni si frapponeva alla felicità da ottenere con la vendita degli immobili e i soldi liquidi con cui acquistare un bel Suv e farsi una vacanza magari a Dubai. È tutto architettato da tempo, il piano è pensato e tentato una prima volta, poi si passa decisamente all’azione, con la parte più difficile anche per un teorico, quella manuale, la soppressione volontaria di un altro essere umano, il soffocamento nel sonno chimico procurato dalle benzodiazepine. Fatto, si scava perfino una fossa per sistemare il cadavere, i soldi e le case ormai sono lì, a portata di mano.

Ma anche il male ha la sua pietra d’inciampo, il risveglio della coscienza, e un anno dopo l’omicidio Milani confessa, seguito a ruota dalle complici, ancora legate a lui da una sorta di invisibile filo, quello che nelle lunghe serate vuote della vita in provincia li univa nel progettare un futuro malato e impossibile. Il carcere lo ha messo fatalmente di fronte a sé stesso, con la fine delle assurde dichiarazioni di innocenza e l’ammissione del delitto, dopo il crollo emotivo e l’intento suicida manifestato in cella. La sceneggiatura del dramma ha riservato un colpo di scena, che l’autore, però, non aveva previsto.

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