Ipocrisie al gran ballo
della libertà

Il problema dei servizi su Charlie Hebdo è che sono (quasi) tutti uguali. Iniziano accarezzando le corde del violino, ma poi finiscono con il dare inesorabilmente fiato al trombone.

E quindi eravamo tutti lì, con i nostri cuori infranti, le nostre matite in mano, i nostri hashtag globalmente condivisi, le nostre marce di solidarietà e le oceaniche adunate di orgoglio laico e occidentale e la nostra libertà ed eguaglianza e fraternità e quanto era bello sentirsi dalla parte del giusto e del buono, cogliere il vento della storia che gonfiava le vele della nostra identità, della nostra autostima e, diciamoci la verità, della nostra supremazia morale e civile sul resto del mondo. Perché questo è il nostro credo, il nostro totem, il nostro monolito. La libertà. La libertà assoluta. Totale e radicale. Libertà di dire quello che si vuole, sempre, comunque e ovunque, e di scriverlo e di disegnarlo, naturalmente, senza paletti e steccati e censure, perché il marchio dell’Occidente è questo: l’uomo, unico giudice di se stesso, che si rivolge solo e soltanto al proprio foro interiore, alfa e omega dell’universo, frutto di secoli di lotte, sofferenze e sfide titaniche contro il potere, l’asservimento, il conformismo. E quindi liberi. Liberi. Liberi da tutto e per sempre. E vai, allora, con il Voltaire da Wikipedia, le tweettate con il ditino lagrimoso strabordanti di parole decisive tipo “la tua opinione è sacra e comunque la pensi io la rispetto” e “non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire” e i sapienti e gli stoici e gli illuministi e bla e bla e ancora e spietatamente bla…

Poi, all’improvviso, a pochi giorni dalla carneficina, la polizia francese arresta il comico Dieudonné. Apologia del terrorismo. E a quel punto tu, povero illuso, ridicolo babbeo, zerbinotto con i pantaloni risvoltati che viene giù dal Resegone, ti aspetti che questa grande marea umana così nobile, così straziata, così cosciente del proprio ruolo di avanguardia laica nel mondo delle tenebre abbia la forza di difendere anche l’indifendibile. Il buffone volgare. Antisemita. Populista. Complottista. Vera fogna sgorgata dalle cloache della Francia devastata dalla crisi e dall’immigrazione selvaggia, altro che i bistrot della Rive gauche. Lo dice Voltaire, no? E quindi giù le mani dal mostro. Perché la sua è pur sempre un’opinione. Schifosa, certo, ma un’opinione. La libertà vale anche per i peggiori e noi ci faremmo uccidere per questo, sta qui la nostra grandezza, vero?

E invece, niente. I cultori della doppia morale hanno abbozzato un “sì, certo, però…”, i cretini multiculturali hanno iniziato ad andar giù di sociologhese, il sindacalista pulcioso era già bello e pronto per una nuova crociata, ma purtroppo doveva andare a fare la spesa, l’ideologo della macchinetta del caffè era fuori stanza, uno sbadiglio, un “boh”, un “vediamo”, e alla fine, in un batter d’occhio, quella che il compianto Lucio Colletti definiva l’”epica dello sciame” – la cultura dei pecoroni, ndr – così straordinaria nel difendere le volgarissime, gratuite e blasfeme vignette di Charlie Hebdo contro Maometto si è dissolta prima di difendere le volgarissime, gratuite e blasfeme battute di Dieudonné contro Yahweh e tanti saluti agli eroici liberali che liberamente liberaleggiano la libertà. Ma che c’è? Cos’ha che non va il lurido Dieudonné? Non va bene perché è negro? Perché è grasso? Perché insulta gli ebrei, forse? Embè, forse che Céline non era nazistoide e antisemita? E chissenefrega? Resta comunque il più grande scrittore del Novecento, chiave di lettura insostituibile per chi voglia capire qualcosa di quel secolo magnifico e demoniaco. Cosa vogliamo fare, bruciare in piazza tutti i suoi libri come facevano quelli là?

Non si ammazza nessuno. Non si arresta nessuno. Non si insulta nessuno. Nessuno. Nessuno, capito? E si difendono tutti. Questa dovrebbe essere la conseguenza della grande mobilitazione. Si garantisce a tutti il diritto di parola. Anche ai peggiori. Altrimenti questa non è la libertà di cui ci si è tanto riempita la bocca e ingorgato il web (vera sentina dei livori e delle frustrazioni degli esseri umani): questo è doppiopesisimo, doppia morale, ipocrisia dodecaedra da sepolcri imbiancati che pensano di poter decidere loro chi è degno di una marcia e chi no. Perché le sfilate piene di retorica fanno tenerezza quando vi partecipano le struggenti liceali de “La vita di Adele”, fanno pena quando intruppano adulti canuti che giocano ai ragazzini dimenticando che è arrivata l’ora di diventare grandi.

Non lo ha detto anche il Papa, forse, che c’è un limite? Sarà dura, adesso, dare addosso al pontefice più amato degli ultimi cinquemila anni. E in effetti è stato spassoso vedere l’imbarazzo, i doroteismi, le camminate sulle uova dell’informazione da terrazza tutta lì a ovattare, a sminuzzare, a troncare e sopire la clamorosa uscita sul pugno a chi osi offendere la sua mamma. Clamorosa, ma non estemporanea, ed anzi pianificata da gesuita colto e intelligente qual è. Ma, insomma, non era questo il Papa buono e diverso e moderno e anticonformista, mille miglia lontano dagli intrighi e dai veleni e dalle congiure del palazzo e lui a Santa Marta e lui che prende il bus e lui e i divorziati e lui e i diseredati e ora che fa, dà un cazzotto a chi non la pensa come lui?

La libertà non è qualcosa di naturale, di innato negli uomini, ma una conquista raggiunta solo e forse in una porzione minima del mondo. Ma è anche uno sforzo assurdo, sovrumano ed è per questo che l’amarissima riflessione consegnata da Houellebecq al Corriere è davvero folgorante. Gli uomini non ne possono più della libertà. Troppo faticosa. Troppo impegnativa. Troppo nobile. Vetta irraggiungibile per esseri così meschini, maldestri e caduchi come noi. Meglio la sottomissione al potere, alla noia o al conformismo. Sarà il caso che la prossima volta che s’inventa un mondo, il buon Dio metta un po’ più di sale in queste povere zucche vuote.

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