Donne mondiali
uomini conigli

Noi uomini, come noto, siamo dei gran vigliacchi. È la parte che ci è stata data in commedia. Una tara genetica, ma anche un imprinting culturale, un’inclinazione esistenziale tutta basata sulle chiacchiere e i distintivi, sulle rodomontate da bar, sui castelli in aria da monsieur Bovary, che di tanto in tanto si mette in testa chissà quali fanfaluche, ma che poi viene rispedito a casa per la collottola, con le orecchie basse e un paio di robuste pedate nel sedere.

In particolare, il coniglismo maschile raggiunge picchi aulici e oggettivamente inarrivabili nel rapporto con le donne, argomento non nuovo e sul quale sono stati costruiti alcuni capolavori della letteratura, del cinema e della commedia televisiva. Primo fra tutti, la mitologica sit-com “Casa Vianello”, nella quale i due protagonisti sintetizzavano in maniera straordinaria questa microborghesissima filosofia di vita. Lui che legge la rosea a letto mentre lei si lamenta: “Sempre io e te, tu ed io, non succede mai niente, che noia che barba, che barba che noia…”. Capolavoro.

La situazione, già imbarazzante di suo, si è però ulteriormente aggravata dopo l’esplosione del fenomeno #metoo che ha preso spunto da una drammatica urgenza di cronaca legata alle violenze e ai soprusi sulle donne e alla conseguente richiesta di pari dignità e pari diritti e che però è velocemente e tristemente scivolato negli Stati Uniti verso il più vieto puritanesimo intollerante e persecutorio, quasi assimilabile alla caccia alle streghe di stampo maccartista. In Italia, invece, modellandosi sull’atavica inclinazione mediterranea, nel più tradizionale paraculismo fariseo secondo il quale quando una cosa è in voga ci si mette tutti quanti insieme a parlarne bene, pur pensandone l’esatto contrario, così si evitano i fastidi, si liscia il pelo al ventre molle del popolo bue e magari si raggranella pure qualche poltrona o qualche strapuntino. Italiani.

E infatti, come era facile prevedere, i vertici del grottesco li stiamo toccando con i campionati mondiali di calcio femminile. Pronti via ed è subito partito il Circo Medrano. E aggettivi e superlativi e peana e carmi e ditirambi e retorica a zaffate e melassa a cucchiaiate e afflati patriottici a secchiate e - che Dio ci scampi - seriosissime analisi sociologiche a badilate e guardate un po’ che spettacolo le nostre azzurre e che ragazze d’oro e che tenacia e che tempra e che attributi e altro che il calcio non è uno sport per signorine e che schemi e che diagonali e che evoluzione tattica e che tecnica invidiabile e tutta questa meraviglia senza furbizie, senza cascatori, senza traffichini, senza gomitate e testate e morsicate, marchio d’infamia del marcissimo pallone maschilista e machista e sessista e bla bla bla. Ogni articolo, una carie. Ogni servizio televisivo, un picco glicemico.

Ma su questo, niente di nuovo, considerato l’innato senso critico e la consolidata indipendenza di giudizio che contraddistingue la nostra meravigliosa categoria. L’aspetto veramente spassoso, la cartina al tornasole, la pistola fumante della vigliaccheria congenita, del pusillanimismo strutturale che informa di sé l’italiano medio bollito ciabattante casalingo è l’acquiescenza, il conformismo e il servilismo con cui anche noi dibattiamo - in sede pubblica o in presenza delle nostre signore - sul calcio femminile. Una scenetta da avanspettacolo. E certo che la Bonansea nell’area piccola ricorda il Pablito Rossi di Spagna ’82 e certo che il blocco Juve è sempre la pietra d’angolo su cui costruire una Nazionale vincente e certo che loro sì che lo conoscono a menadito l’inno di Mameli e certo che muscolarmente si nota la differenza, ma, ragazzi, l’aggressione degli spazi è da manuale e certo che la Giugliano motorino di centrocampo, la Girelli altruista come nessuna, la Gama capitana coraggiosa, la Galli dal destro al fulmicotone e tutta una sequela di banalità e di luoghi comuni e, diciamoci la verità, di cialtronate sesquipedali degne di un politico che promette agli italiani che al primo Consiglio dei ministri taglierà le accise sui carburanti.

E invece, come ovvio, non è vero niente. La nostra è tutta una manfrina, tutto un cicaleccio da cicisbei, tutta un’indecente ruffianata per tenere buone mogli e fidanzate e per dimostrarsi moderni e al passo con i tempi. Bugiardi. Vigliacchi. Cosa credete, che chi scrive questo pezzo non vi abbia visto - e non abbia visto se stesso - quando rimanete da soli, tra di voi, occultati in qualche assembramento nelle catacombe della macchinetta del caffè o in qualche riunione carbonara in fiaschetteria sghignazzare e sbellicarvi e darvi di gomito e far volare gatti morti giù dal balcone e prendervi a torte in faccia sul gol di anca di quella lì, sull’uscita a rane di quella là, sulla difesa a presepe di quelle altre e sul giro palla “ad minchiam” di quelle altre ancora? E sbudellarvi e smascellarvi e scompisciarvi e sganasciarvi e sempre più giù, sempre peggio, sempre più beceri e caproni tanto che, dopo aver motteggiato sulla goleada che queste qui beccherebbero da una qualsiasi squadra maschile di serie D, si inizia a scivolare inesorabilmente verso il sessismo da osteria, che quando parte la tiritera sulle code di cavallo, le magliette aderenti e i lati b che meriterebbero pantaloncini più slim è ora di tirare giù la saracinesca e andarsene tutti a casa che altrimenti arriva la Buoncostume.

Che mostri che siamo. Che brutte persone. Che maschi alfa da film dei Vanzina. Che bambini viziati e possessivi con quella palla che è il nostro ninnolo, il nostro bibelot, che è nostro e solo nostro e deve continuare a essere solo nostro. E che codardi, soprattutto, che pavidi, che vili. Cerchiamo di avere almeno il coraggio di dire quello che pensiamo veramente, almeno una volta nella vita, almeno per difendere la proprietà esclusiva del Dio pallone. Facciamolo tutti insieme, dai, coraggio, che mal che vada dormire un paio di settimane sul divano non è poi così male.

@DiegoMinonzio

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