Passera a La Provincia
«Per l’Europa un piano
da 4-5 mila miliardi»

L’intervista all’ex ministro, a capo di Illimity Bank, che ha dedicato alla crisi economica un recente editoriale sul Financial times

Un piano di investimenti massiccio, di straordinaria entità (4-5 trilioni di Euro , intorno al 20% del Pil europeo) per innescare crescita sostenuta e sostenibile dell’economia e aprire un nuovo capitolo del progetto europeo.

Corrado Passera, a capo di Illimity Bank, già ministro dello Sviluppo Economico, ha firmato nei giorni scorsi un editoriale sul Financial Times in cui indica una possibile risposta all’incombente crisi economica. Una via di uscita per consentire all’Europa di sottrarsi alla morsa di Usa e Cina ed evitare il rischio che si propaghi lo spettro del sovranismo.

Ritiene che l’attuale governo italiano sia adeguato ad affrontare la crisi?

Continuo a vedere poca competenza e carenza di visione sistemica. Non mi sorprende tanto che la politica, alle frange estreme, strumentalizzi i problemi e li usi in maniera disinvolta: è sempre accaduto e accadrà anche nel futuro. In questo momento mi preoccupa soprattutto la non sufficiente consapevolezza della crisi economica che abbiamo di fronte con tutti i rischi, anche di tenuta sociale e quindi politico-elettorale, che si porta dietro.

Il rischio interessa il nostro Paese ma anche l’Europa che, per come è attualmente configurata, fatica ad essere concorrenziale rispetto alle grandi potenze globali, una sorta di “vaso di coccio” in un contesto internazionale orientato alla competizione estrema in campo economico certo ma anche in quello militare, culturale.

Le crisi sono anche un’occasione di cambiamento…

Certo, per l’Europa è il tempo del pericolo, ma anche delle opportunità. Per un verso c’è il rischio di un fallimento del progetto europeo nel caso in cui si aggravasse la recessione con i singoli Paesi a quel punto facile preda delle grandi potenze; ma oggi c’è anche la possibilità di compiere il grande salto, lo sdoganamento degli eurobond e l’intervento federale prospettato da Merkel, Macron e von der Leyen è qualcosa di potenzialmente grandioso: nessun singolo Paese europeo ha da sé le forze per affrontare la situazione, insieme è possibile mettere in campo una potenza di fuoco adeguata alla fase storica che stiamo attraversando.Basandosi, ricordiamoci, su un modello sociale di cui essere comunque orgogliosi. Nessuna delle grandi potenze offre ai cittadini un bilanciamento di valori – tra libertà e uguaglianza, tra merito e solidarietà, tra identità e apertura – come quello che abbiamo costruito con varie gradazioni in Europa.

Ha fiducia che i Paesi europei trovino un accordo in tempi rapidi?

Gran parte del dibattito che a Bruxelles sta bloccando le decisioni è focalizzato sul tema della solidarietà, dell’aiuto dei Paesi ricchi ai Paesi poveri, dai Paesi cosiddetti sobri a quelli cosiddetti spendaccioni.Così, stiamo perdendo tempo prezioso... Bisognerebbe porre al centro del confronto la necessità e la possibilità di un rilancio dell’economia europea nel suo insieme, di cui tutti abbiamo bisogno. È una questione di interesse – non di solidarietà – di tutti i cittadini europei. Ciò che serve oggi e ciò che può salvare il progetto europeo è un macro progetto di investimenti selezionati, gestiti e finanziati a livello federale. Si tratta di un’azione che non ha precedenti, ma non abbiamo alternative efficaci: una prolungata situazione di crisi genererebbe in Europa rischi simili a quelli che abbiamo nel secolo scorso dal punto di vista economico, sociale, politico, di tenuta stessa delle democrazie.

Ritiene che gli interventi del governo siano adeguati alla necessità?

Non esprimo giudizi di natura politica. Ciò che posso dire, da cittadino e imprenditore, è che l’Italia oggi avrebbe urgente bisogno di cose molto concrete. Faccio un esempio: anziché dare vita a una pletora di nuovi interventi di difficile attuazione, dovremmo puntare a “scatenare” l’energia delle imprese ed è possibile farlo utilizzando leggi esistenti e risorse relativamente limitate. Vede, noi oggi abbiamo bisogno che le imprese in grado di farlo, investano, assumano, si aggreghino, immettano capitale nel loro patrimonio. Come fare in modo che ciò che accada? Basterebbe un’applicazione “molto robusta” di leggi già esistenti. Industria 4.0 è un’ottima legge per favorire l’innovazione, l’Ace è un’ottima legge per incentivare la patrimonializzazione delle imprese, l’apprendistato è un ottimo strumento per introdurre le persone nelle aziende (andrebbe eliminato il tetto, anacronistico, dei 29 anni di età), gli incentivi fiscali per favorire le aggregazioni esistono già e possono, semmai, essere rafforzati. Bene, far funzionare bene questo pacchetto di misure “orizzontali” varrebbe molto di più di qualsiasi provvedimento di spesa immediata in questo o quel settore specifico. Per dare un’ulteriore scossa all’economia basterebbe inoltre che lo Stato pagasse in tempi rapidi i suoi forse 50 miliardi di debiti commerciali scaduti, sbloccasse quei 10 miliardi fermi per procedure giudiziarie già definite, rifinanziasse ancora più fortemente il Fondo Centrale di Garanzia per dare ossigeno alle Pmi eliminando taluni vincoli e taluni tetti oggi esistenti Tutte cose attivabili con un tratto di penna, tutte cose che non hanno bisogno di nuove leggi.

Cosa è possibile fare per stimolare la crescita?

Lo stimolo alla crescita deve avvenire a livello nazionale e a livello europeo da un piano di massicci investimenti pubblici. Abbiamo detto dell’Europa ma lo stesso discorso vale a livello nazionale, ci sono decine di investimenti in infrastrutture strategiche già decisi, approvati, fermi per problemi superabili attraverso una gestione commissariale. Tutto significa che, in poco tempo, potremmo generare ricadute fortissime sull’economia, certo, è chiaro che nel medio periodo dovremo ripensare tutta una serie di interventi strutturali profondi (scuola, giustizia, governance pubblica) ma questo genere di riforme non va confuso con gli interventi emergenziali. Senza dimenticare, tra le emergenze più gravi, l’incremento drammatico di vecchie e nuove povertà.

Quanto è importante la svolta di Francia e Germania sugli Eurobond?

Certamente il fatto che Francia e Germania abbiano, di fatto, sdoganato gli Eurobond per progetti comuni, è un passaggio storico rilevante. Per ora, ripeto, se ne parla più per progetti di solidarietà mentre io dico se ne dovrebbe parlare per progetti “federali” di crescita comune.

Certamente, rispetto a dieci anni fa, i cittadini hanno una percezione molto più disincantata delle istituzioni europee e questo è il vero grande rischio: se la situazione economica non verrà affrontata in modo efficace, se aumenteranno le asimmetrie tra Paesi, la distanza dei cittadini aumenterà ulteriormente e in molti Paesi europei finirebbero per imporsi forze contrarie all’Europa. L’intero progetto europeo è in pericolo ed è per questo occorre fare bene e fare presto.

Investire nel campo della tecnologia per recuperare su Usa e Cina. Quanto è profonda l’arretratezza europea?

A livello globale nessuno dei primi dieci operatori, nell’ambito delle attività con il più avanzato livello di tecnologia, è europeo e questo è già un indicatore di quanto siamo indietro rispetto a Usa e Cina. Non è un rischio solo di natura economica, questi giganti della tecnologia sono in grado di condizionare moltissimi altri settore. L’idea che l’Europa sia totalmente dipendente da società cinesi e americane è un fattore di vulnerabilità gravissima. Ed è per questo che indico, in positivo, il modello di Airbus, un modello creato mettendo in comune risorse e competenze europee.

Ciò che auspico è che lo stesso possa accadere anche in altri settori strategici, dalla microelettronica, alla cantieristica, alla difesa all’investment banking.

In quali ambiti l’Europa potrebbe essere protagonista?

Siamo in una fase di cambiamenti eppure non mancano le opportunità. Pensiamo, ad esempio, oltre ai settori appena menzionati, al tema della transizione energetica in cui l’Europa gode di una situazione di relativo vantaggio rispetto alle altre potenze e che potrebbe innestare investimenti colossali però anche qui è necessaria una leadership di competenze,di visione di medio periodo, di commesse federali affinché queste potenzialità non rimangano sulla carta. Anche in questo caso, il mercato, da solo, non basta.

Qual è l’entità delle risorse da mettere in campo in questa fase?

Non si fa fare il salto in avanti a un’economia come quella europea investendo qualche centinaio di miliardi. Per dare un ordine di grandezza sarebbe necessario mettere in campo investimenti pari almeno al 20% del Pil europeo concentrati in pochi anni Il nostro bilancio federale è oggi intorno all’1% del Pil europeo, un’inezia rispetto agli Usa o alla Cina. Se noi vogliamo avere crescita sostenuta e sostenibile, abbiamo bisogno di cifre adeguate, parliamo di 4, 5, 6 trilioni di euro, starà alla politica stabilire quanto di preciso ma di certo occorre stare su questa classe di numeri se puntiamo a impatto rilevante sulla crescita. È necessario essere ambiziosi e fare in fretta, delegando a una task force presieduta da una persona con una grande credibilità, il compito di attivare a livello continentale e nazionale il piano degli investimenti in un tempo definito, progetti di rilevanza federale da attuarsi al di fuori delle procedure normali. Non mi sfugge la difficoltà di uno scenario del genere, ma trovo che sarebbe sbagliato oggi evitare di rappresentare questa necessità per il solo fatto che non è semplice concretizzarla.

Per quale ragione una parte del governo è contraria ad utilizzare i fondi del Mes?

A me sembra in effetti irragionevole non utilizzare 37 miliardi per rafforzare il sistema sanitario. Probabilmente è stata commessa una serie di errori di comunicazione, non si è spiegato bene cosa sia il Mes, le possibili criticità (che possono essere gestite), le condizionalità (a mio parere accettabili). Ne è sortita una discussione ideologica, pro e contro l’Europa. La mia posizione è che, avendo raggiunto l’accordo sulla destinazione dei fondi, avendo ridotto la condizionalità all’utilizzo dei fondi, questi soldi vadano presi. Èchiaro che dovremo dimostrare di saper usare in maniera responsabile questa imprevista disponibilità di risorse: evitando di fare 20 cose diverse e scoordinate nelle 20 regioni.

E la nostra città? In questa fase drammatica cosa possono fare le comunità locali?

Le comunità locali possono fare molto e determinare almeno in parte il proprio futuro. Devono però capire fino in fondo l’impatto contingente e quello strutturale della crisi, devono immaginare come potersi adattare o, addirittura,avvantaggiare nel “new normal” che sta delineandosi e, conseguentemente, mettere in moto le iniziative di breve e di medio periodo per emergere più forti di prima. Una condizione: sapersi confrontare e collaborare tra pobblico e privato, tra profit e non profit, tra istituzioni, rappresentanze, accademia, mondo della cultura e media. Como ha molte carte da giocarsi, spero saprà ritrovarsi in articolato progetto condiviso.

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