Il futuro senza neve. «Innoviamo gli impianti esistenti, ma stop a quelli nuovi»

DibattitoGli autori del libro-inchiesta “Inverno liquido” a confronto con Aldo Bonomi, Cai e la guida Michele Comi. «Il modello dello sci è in crisi ma non ci si interroga»

C’era una volta il modello fordista dell’industria dello sci, ci sono le parole spesso vuote e retoriche di ambiente e natura che non si concretizzano in alcunché, e, in mezzo una realtà, quella della provincia di Sondrio alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo economico e sociale, in bilico tra uno insostenibile e la conversione ecologica della montagna.

O, meglio, che dovrebbe essere alla ricerca di un nuovo modello perché - lo dicono i dati climatici oltre che quelli finanziari (più di 180 milioni di euro di debiti accumulati) - da qui a 20/30 anni lo sci non sarà che un ricordo, ma gli attori protagonisti ancora non vogliono rendersene conto.

Il concetto

Ruota attorno al concetto di “Inverno liquido” partendo dall’omonimo libro scritto da Maurizio Dematteis e Michele Nardelli, un lungo reportage dalle terre alte (Alpi e Appennini) dove imprenditori e amministratori locali, operatori e testimoni del mondo della montagna si raccontano, analizzano i fallimenti, spiegano i percorsi di riconversione, fotografano i sogni di rinascita, l’analisi socio economica fatta da Aldo Bonomi insieme alla guida alpina Michele Comi, ai presidenti delle sezioni di Lecco e Valtellina del Cai Adriana Baruffini e Paolo Camanni nel corso dell’incontro organizzato nella sala Besta della Banca popolare di Sondrio dall’associazione Oltre i muri, presieduta da Angelo Costanzo.

Un tema di grandissima attualità vista l’imminenza delle Olimpiadi, su cui cominciano ad interrogarsi anche istituzioni come Uncem e Anci, e visti gli investimenti previsti anche in Valtellina, in Valmalenco piuttosto che a Teglio. Milioni di euro che escono dalle tasche pubbliche, di ciascun cittadino, per qualcosa che non sembra più essere sostenibile. «Nel momento in cui bisognerebbe interrogarsi seriamente su quale strada prendere, ci sono interessi economici enormi che spingono per l’ampliamento» dice Dematteis.

«Stanno arrivando una valanga di soldi e le prospettive degli amministratori locali viaggiano su modelli superati - aggiunge Camanni -. Pensiamo ai 22 milioni di euro in Valmalenco al Sasso Nero, quando abbiamo il lago Palù prosciugato, piuttosto che il secondo tronco dell’impianto a Teglio. Se non ci fosse il pubblico nessun privato investirebbe su quegli impianti. C’è una grande miopia e anche una forte dicotomia tra ciò che la gente vuole (il Covid ha insegnato che con gli impianti di sci chiusi la gente in montagna c’era lo stesso) e ciò che l’amministrazione insiste a voler offrire. Sarebbe necessario fare una bella riflessione tra costi e benefici».

La via equilibrata

Che non significa fare la guerra allo sci. Tutt’altro. Il Cai, lo ha ribadito Camanni, non è contro lo sci: «Innoviamo l’esistente, ma non costruiamo nient’altro» dice.

L’esperienza dei Piani di Bobbio, unica stazione sopravvissuta mentre tutte le altre nel Lecchese hanno chiuso per mancanza di neve e freddo dice la stessa cosa. «E’ difficile capire quello che sta succedendo - dice Baruffini -. Incomprensibile l’idea di portare una seggiovia ad Artavaggio dove gli impianti sono chiusi da vent’anni. In Valsassina si spera di riempire le seconde case rimaste vuote rilanciando lo sci, ma sono progetti già vecchi quando sono realizzati».

In Val d’Aosta le cose non vanno diversamente. «Il territorio è in forte crisi - testimonia Dematteis -. Le stazioni sciistiche sono della Regione e sono tutte in passivo. Ma non ci si pensa. In Piemonte si pensa di costruire bacini con i fondi del Pnrr anche sotto i 2.000 metri, mentre gli imprenditori hanno detto che non investono più niente sotto quella quota. E qui, nelle Alpi centrali con le Olimpiadi imminenti nessuno s’interroga».

Eppure, suggerisce Bonomi bisognerebbe scavare nel fatto economico, ragionare di montagna per ragionare di sviluppo, mettere in gioco «la coscienza di luogo adeguata ai tempi» che significa leggere i segni del cambiamento in atto, capire che il modello fordista dello sci di massa è in crisi, che si è creato o si creerà un vuoto da riempire.

«Anche il sindacato dovrebbe occuparsi di questa situazione - dice Bonomi -, ma il sindacato è assente, così come la politica».

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