Frontalieri in Ticino
Lo stipendio vale
il 30% in meno

Stesso lavoro ma compenso differente: gli ultimi dati della Seco a due mesi dal referendum federale sulla libera circolazione

Gli stipendi dei frontalieri in Canton Ticino sono in media inferiori del 30% rispetto a quelli dei residenti. La conferma - l’ennesima - arriva dalla Segreteria di Stato dell’Economia e di per sé la notizia è importante perché riapre - a due mesi dalla consultazione federale sul gradimento dei nostri lavoratori e dell’Europa - il dibattito sulla libera circolazione. Oggi, in Ticino, i frontalieri rappresentato più di un terzo della forza lavoro e dal 2010 in poi il trend di crescita non si è mai fermato, anche se quota 70 mila - più volte sbandierata da Lega dei Ticinesi e Udc come spauracchio nei confronti degli elettori - non è stata toccata né, complice l’emergenza sanitaria, lo sarà almeno per tutto l’anno in corso. Al 30 marzo erano 67878 i nostri lavoratori impiegati nel Cantone di confine. Da inizio pandemia, secondo il sindacato Ocst, almeno un migliaio di frontalieri ha perso il lavoro in Ticino, cui si aggiungono gli oltre 3 mila lavoratori italiani impiegati nel turismo.

Il momento è difficile e l’analisi della Seco fa riemergere il pericolo legato ad episodi di dumping salariale. «Molti frontalieri occupano gli ultimi gradini nelle scale degli organigrammi aziendali. E in quelle mansioni si notano episodi di dumping. Visto il costo della vita in Italia, alcuni datori di lavoro ne approfittano per risparmiare sui salari», ha fatto notare al quotidiano “La Regione” Sergio Rossi, docente di macroeconomia ed Economia monetaria all’Università di Friburgo. Di sicuro questi sono stati (e continuano a essere) mesi durissimi sul fronte sanitario, ma anche su quello economico. E’ sempre la Segreteria di Stato dell’Economia a certificare il fatto che ad aprile - il mese più difficile della pandemia da Covid-19 - sono state colpiti in Svizzera dal lavoro ridotto (leggasi anche cassa integrazione) ben 1 milione e 77 mila addetti, addirittura 294 mila in più rispetto al precedente mese di marzo. Le aziende che hanno chiesto di poter accedere lavoro ridotto sono state, mese dopo mese, ben 131 mila, per un totale di ore perse che supera quota 90 milioni. Un dato che davvero inquadra il momento storico senza eguali anche per l’economia rossocrociata. Basti pensare che ad aprile 2019, un anno peraltro iniziato con qualche difficoltà per molte imprese svizzere, le ore “perse” erano state circa 44 mila. E in proiezione anche giugno è stato un mese molto difficile, considerato che - come fa notare sempre la Seco - le persone in cerca di lavoro erano (al 30 giugno) più di 233 mila, ben 62 mila in più rispetto all’analogo periodo del 2019. È chiaro che all’interno di questo scenario i frontalieri potrebbero rappresentare - in taluni segmenti produttivi - l’anello debole della catena. Il dibattito resta più che mai aperto.

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