Un sondriese a Leopoli
«Gente battagliera
e bambini frastornati»

Gabriele Erba, 35 anni, è in Ucraina per l’Unicef

Soffre un po’ per la mancanza di sonno, ma il lavoro procede. Serrato. E la speranza è di riuscire ad ottenere buoni risultati in breve tempo. Gabriele Erba, 35 anni, sondriese, figlio di Mario Erba vicedirettore generale della Banca Popolare di Sondrio e di Marcella Fratta assessore comunale alla Cultura, si trova in Ucraina, per la precisione a Leopoli.

Nella città, ultimo bastione ucraino, Erba sta operando per Unicef, il fondo delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza umanitaria per i bambini e le loro madri in tutto il mondo. Lo abbiamo contattato.

Leopoli, fino a poco tempo fa, poteva ritenersi la città più sicura dell’Ucraina, ma oggi la situazione è cambiata. È così?

«Purtroppo è così. Io lavoro a New York e, prima che arrivassi in Ucraina, i colleghi dicevano che Leopoli era un angolo di salvezza, visto Kiev, dove Unicef aveva l’ufficio principale, non era più sicura per via dei bombardamenti. Oggi non è più così. Mi trovo nello stesso hotel dell’ambasciatore italiano che, insieme a quello francese, è l’unico rimasto qui. Insieme a noi c’è anche un gruppo di Carabinieri. Tutti escludono che le bombe possano cadere in città, ma di certo le sirene anti-bombardamento, se per ora non ci fanno temere per la nostra vita, aggiungono stress alla popolazione, soprattutto a quella che si è portata a Leopoli da Est per trovare un posto sicuro e che comincia a rivivere le incertezze e gli stessi momenti cupi vissuti nei seminterrati».

E a Leopoli come sta andando?

«Ci stiamo occupando di tre grandi pilastri. Il primo: raccogliere i dati per fare una screening dei bisogni; in particolare ci focalizziamo su famiglie con bambini da 0 a 2 anni e famiglie con 3 o più bambini. Il secondo: i pagamenti in interazione con le banche. Infine il terzo: il monitoraggio e le relazioni con la popolazione per metterla in contatto con gli altri servizi che Unicef e altre organizzazioni umanitarie offrono, come l’assistenza legale o psicosociale».

Le riprese televisive, che vediamo in questi giorni, propongono l’immagine di cittadini ucraini fieri, orgogliosi e battaglieri. È veramente così?

«Assolutamente sì. E aggiungo anche solidali. Gli ucraini sono un popolo di grande accoglienza anche nei miei confronti che non parlo ucraino o russo. Si avverte il desiderio di andare verso l’altro, anche in questo momento tragico. Un giorno sono uscito per strada a prendere un panino perché il ristorante dell’hotel era già chiuso e, vedendo i cittadini congedarsi in un certo modo, ho chiesto al collega cosa si fossero detti. Ebbene si erano salutati con la frase “Gloria all’Ucraina” che è un modo per continuare a farsi coraggio e a sperare che questa guerra finisca in fretta».

Dal suo osservatorio, come giudica le condizioni di bambini e ragazzi?

«I giovani e gli adolescenti sono lo specchio della fierezza di cui parlavamo prima, mista quasi a incoscienza. Tanti di loro fra i 18 e i 20 anni hanno desiderio di battersi, contraddistinti da un sentimento quasi di invincibilità. Ciò mostra l’identità di un popolo, ma anche la fragilità di queste vite che non dovrebbero sperimentare questa situazione. Quanto ai bambini, li incontro nel seminterrato, dove mi reco di notte, e li vedo ancora scossi, frastornati, assonnati, anche se continuano a sorridere grazie al fatto che sono con i loro genitori che mi ricordano tanto Roberto Benigni ne “La vita è bella” quando cerca di “lucidare” la realtà per il figlio».

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