Operaio ucciso per lo sgarro al boss
La compagna: «Ho visto gli assassini»

Santo Valerio Pirrotta, di Lurago d’Erba, alla sbarra per il delitto di Paderno d’Adda

Fabio Citterio e Tiziana Molteni sono rei confessi: sono loro gli esecutori materiali

Passa accanto alla gabbia dov’è rinchiuso Santo Valerio Pirrotta, accusato di aver assoldato i due improbabili killer che le hanno ammazzato il padre di sua figlia, e Stefania Iannoli sussurra tutta la sua rabbia per quell’uomo. L’imputato incassa e ribatte: «Signora, non c’entro niente io».

Due donne e quattro uomini, oltre ai due giudici togati, da ieri siedono in corte d’Assise come giurati popolari per giudicare se l’imputato, 45 anni di Lurago d’Erba, sia o meno colpevole di concorso nell’omicidio volontario di Antonio Caroppa, operaio «tutto casa e lavoro, con la passione della pesca e delle moto da cross» barbaramente ammazzato il 10 maggio 2012 nel garage di casa, a Paderno d’Adda.

Per quel delitto ci sono già due rei confessi, ovvero gli esecutori materiali: Fabio Citterio, 46 anni anche lui di Lurago d’Erba, e Tiziana Molteni, 53 anni di Dolzago.

Sono loro ad aver tirato in ballo Pirrotta che, dal canto suo - come ha ricordato ieri mattina, nell’introdurre il processo, Stefano Didonna, l’avvocato difensore - si è invece sempre proclamato innocente.

Così non la pensano la procura lecchese - il pm è Rosa Valotta - e i carabinieri di Merate e di Lecco, secondo cui Pirrotta sarebbe il trait d’union tra il pluriomicida Alberto Ciccia, calabrese condannato all’ergastolo con il quale la convivente della vittima aveva stretto una relazione sentimentale durata dieci anni e sospettato per questo di essere il mandante dell’omicidio di Caroppa (in quanto colpevole di essere la causa della fine della relazione) e i due killer. Tanto spietati quanto improbabili.

Killer che il 10 maggio dello scorso anno si sono presentati alla porta della villetta di via Roma a Paderno d’Adda, dove l’operaio viveva con la convivente Stefania Iannoli e la figlia di soli quattro anni, e si sono inventati un’assurda storia di auto tamponate.

«Sono passate da poco le 22 - ha raccontato in aula la donna - e sento il citofono suonare. Io ero sul divano a guardare la tv con mia figlia e Toni va a rispondere. E mi dice che è una donna che sostiene di aver tamponato 15 giorni fa la nostra auto a un parcheggio e di voler fare la constatazione amichevole. Io gli dico: “Ma non ti sembra strano?”. Ma lui era un buono. Non pensava mai male».

Caroppa scende in garage: «A volte, non so, hai delle sensazioni addosso. E io mi sentivo che stava succedendo qualcosa di grave. Così ho portato mia figlia fuori dalla porta e le ho detto: “Aspettami, che ora andiamo a fare un giro”. Poi sono scesa in taverna da cui si entra nei garage. Ho aperto la porta e li ho visti: tenevano Antonio e lei gli puntava un coltello alla gola».

Una fotografia drammatica: «Non la dimenticherò mai. Antonio mi ha guardato e ho capito che mi diceva: “Pensa alla bambina”. Sono corsa via, ho portato mia figlia dai vicini ma quando hanno aperto la porta ho sentito lo sparo».

I dubbi sul mandante? «Io sono stata compagna di Alberto Ciccia.. I calabresi hanno una mentalità strana. E quando ho chiuso il rapporto il fratello, Pasquale Ciccia, mi ha detto: “Non pensare che mio fratello, quando uscirà dal carcere, te la farà passare liscia”. Non so, ma da quel momento ho sempre ha avuto paura che potesse succedere qualcosa. Ma a me, non ad Antonio».

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