«Lo smog non favorisce
la diffusione del Covid»

.È quanto risulta da uno studio congiunto tra Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr e Arpa Lombardi

Il particolato atmosferico non favorisce la diffusione aerea del Covid-19. È quanto risulta da uno studio congiunto tra Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr e Arpa Lombardia, ora pubblicato su Environmental Research. La ricerca ha analizzato le concentrazioni di SARS-CoV-2 in aria nelle città di Milano e Bergamo, studiando l’interazione con le altre particelle presenti in atmosfera.

«La probabilità che le particelle virali in atmosfera formino agglomerati con il particolato atmosferico pre-esistente, di dimensioni comparabili o maggiori, è trascurabile anche nelle condizioni di alto inquinamento tipico dell’area di Milano in inverno - spiega Franco Belosi, ricercatore Cnr-Isac-. È possibile che le particelle virali possano formare un cluster con nanoparticelle molto più piccole del virus ma questo non cambia in maniera significativa la massa delle particelle virali o il loro tempo di permanenza in atmosfera. Pertanto, il particolato atmosferico, in outdoor, non sembra agire come veicolo del coronavirus».

«Tra le tesi avanzate, vi era quella che mette in relazione la diffusione virale con i parametri atmosferici, ipotizzando che scarsa ventilazione e stabilità atmosferica e il particolato atmosferico, cioè le particelle solide o liquide di sorgenti naturali e antropiche, presenti in atmosfera in elevate concentrazioni nel periodo invernale in Lombardia, possano favorire la trasmissione in aria (airborne) del contagio», spiega Daniele Contini, ricercatore di Cnr-Isac.

Per avere «una probabilità media del 50% di individuare il Sars-CoV-2 nei campioni giornalieri di PM10 a Milano sarebbe necessario un numero di contagiati, anche asintomatici, pari a circa 45.000 nella città di Milano (3,2% della popolazione) e a circa 6.300 nella città di Bergamo (5,2% della popolazione)», sottolinea Vorne Gianelle responsabile Centro Specialistico di Monitoraggio della qualità dell’aria di Arpa Lombardia, che aggiunge: «Pertanto, allo stato attuale delle ricerche, l’identificazione del nuovo coronavirus in aria outdoor non appare un metodo efficace di allerta precoce per le ondate pandemiche».

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