Licenziata in Ticino per gli insulti sul web
Il legale: «Può succedere anche in Italia»

Il caso della frontaliera che aveva postato un video contro i poliziotti elvetici. Pioggia di critiche sugli svizzeri, ma l’avvocato avverte: «Pure da noi vi sono casi analoghi»

«Se fosse stata licenziata per quanto ha scritto sarebbe assurdo ma temo che i veri motivi siano altri» commenta Luca. «Gli svizzeri ticinesi sono razzisti e a loro volta discriminati dagli altri svizzeri» afferma invece Sergio. «Brutto clima. Io quando ho guardato il video, mi sono messo a ridere» afferma Claudio. Sono soltanto alcuni dei commenti comparsi su facebook con cui molti comaschi hanno criticato il licenziamento della lavoratrice frontaliera, lasciata a casa dalla ditta svizzera dove lavorava, per un video postato su Instagram in cui attaccava - e accusava di razzismo - i poliziotti di Lugano colpevoli di averla multata.

In molti hanno bollato come eccessiva la decisione dei datori di lavoro, ma l’esperto comasco di diritto del lavoro avverte: «Può succedere anche da noi».

A parlare è Giuseppe Gallo, avvocato con studio in centro città e giuslavorista, nonché legale della lavoratrice licenziata dal Comune e recentemente riammessa in servizio dopo aver vinto la causa davanti al giudice del lavoro.

«Moltissimi contratti di lavoro prevedono che comportamenti pubblici fuori dal luogo di lavoro possono riflettersi sul rapporto fiduciario con l’azienda - spiega l’avvocato - Il caso recente più clamoroso è quello della professoressa che, nel corso di una manifestazione, ha insultato e augurato la morte agli agenti di polizia». L’insegnante, quattro mesi dopo la polemica per le sue parole pronunciate nel corso di una manifestazione, è stata licenziata dall’ufficio scolastico regionale.

«Mi è capitato il caso di un dipendente di una ditta di trasporti - prosegue ancora il legale - che si ritrovò accusato di aver alzato le mani sulla compagna e l’azienda aveva aperto una procedura disciplinare a suo carico, dopo che era emerso il caso. L’accusa poi si era rilevata infondata e il procedimento è rientrato, ma dimostra come il comportamento pubblico può avere una ripercussione sui rapporti con il datore di lavoro».

Con l’avvento dei social network i casi di licenziamenti o di richiami per post pubblicati dai dipendenti sono in sensibile aumento: «Nella rassegna di giurisprudenza capita sempre più spesso di leggere casi analoghi, certo» conferma l’avvocato Gallo.

Questo non significa che non si possa più utilizzare il web per pubblicare critiche o per esprimere il proprio pensiero, ovviamente: «I principi a cui bisogna attenersi sono i soliti: il diritto di critica è sacrosanto ed è legittimo, ma io devo formulare la critica in maniera proporzionale e soprattutto continente. Inoltre, quando si denuncia pubblicamente un fatto, c’è il dovere del rispetto della verità».

Insomma, anche in Italia un video come quello costato il posto di lavoro alla giovane lavoratrice frontaliera, dipendente della Avaloq, fornitore di servizi tecnologici per la finanza con sede a Bioggio, avrebbe potuto comportare provvedimenti disciplinari. Magari anche il licenziamento. E forse ha ragione il lettore che su facebook, tra le rare voci fuori dal coro, ha commentato: «Sarebbe ora che la gente cominciasse a capire che quando si postano pesanti insulti in Rete si deve poi accettare la responsabilità di quel che si è fatto».

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