La ’ndrangheta di Cantù a processo
Ma l’invito a denunciare cade nel vuoto

Solo una parte civile contro i nove alla sbarra per le botte e le minacce in centro. Pesa l’accusa dell’aggravante mafiosa. Il giudice solleva il dubbio: la competenza è di Milano

Solo una manciata di giorni fa il giudice dell’antimafia ospite a Cermenate per un evento a favore della legalità ha detto: «Non dovete avere paura, reagite e denunciate». Un appello caduto nel vuoto, se di pensa che nel processo contro le botte e le presunte estorsioni in odor di ’ndrangheta avvenute nel centro di Cantù tra il 2014 e il 2016, su nove potenziali parti lese soltanto una persona si è costituita parte civile.

Si tratta di un ragazzo che, nel gennaio di due anni fa, finì in ospedale con le costole rotte e una prognosi di 25 giorni, dopo l’ennesima aggressione ai danni di avventori della discoteca Spazio Renoir.

Ha preso il via ieri mattina, in un’aula gremita di imputati (tutti ancora in carcere, tranne uno ai domiciliari), di parenti, avvocati e agenti di polizia penitenziaria, il processo che vede alla sbarra con l’accusa di associazione mafiosa Giuseppe Morabito, 32 anni, nipote d’arte (il nonno “inteso Tiradrittu” ha subito una condanna a 30 anni perché affiliato alla ’ndrangheta), Domenico Staiti, 45 anni di Cantù, e Rocco Depretis, 22 anni.

Assieme a loro, accusati di estorsione aggravante dal metodo mafioso ai danni (a vario titolo) di tre locali del centro (lo Spazio Renoir, il bar Commercio e la Grill House) sono comparsi Emanuele Zuccarello, 28 anni di Cermenate, Antonio Manno, 23 anni di Cantù (già condannato per il tentato omicidio di Andrea Giacalone, contro il quale aveva sparato con un fucile a canne mozze), Luca Di Bella (l’unico ai domiciliari), 28 anni di Cantù, Valerio Torzillo, 23 anni di Cermenate, e Jacopo Duzioni (ieri assente), 26 anni pure lui di Cermenate.

Infine a processo è pure Andrea Scordo, 33 anni, accusato in concorso con Morabito, Depretis, Zuccarello, Manno e Manno di aver mandato all’ospedale a suon di pugni tre giovani (a cui si aggiungono altri due ragazzi finiti in ospedale, uno di loro con ben 40 giorni di prognosi).

Secondo l’accusa, sostenuta in aula dal pubblico ministero dell’antimafia di Milano Sara Ombra, lo scopo degli affiliati alla ’ndrangheta - e in particolare alla locale di Mariano Comense - era quello di acquisire il controllo sui bar e i locali notturni attorno a piazza Garibaldi e, quindi, dei servizi di vigilanza per prevenire episodi di violenza, da loro stessi provocati.

In apertura di processo, ieri mattina, il presidente del Tribunale chiamato a giudicare gli imputati, Luciano Storaci, ha sollevato una possibile questione di incompetenza e mandato gli atti in Cassazione perché decida se il processo vada celebrato a Como oppure - vista l’accusa di associazione mafiosa - a Milano. In ogni caso già fissata la prossima udienza con i primi testimoni: si torna in aula a dicembre.

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