La morte di “Berna”
«Con lui sul Cerro Torre
Era meticoloso e prudente»

Fabio Salini, istruttore nazionale di alpinismo, ricorda Matteo Bernasconi, morto sul pizzo del Diavolo

«Ci eravamo ripromessi di trovarci per una sciata telemark, ma gli impegni, prima, e l’emergenza sanitaria, poi, non ce l’hanno permesso. Ora non sarà più possibile».

Fabio Salini, alpinista valchiavennasco e istruttore nazionale guide alpine, ricorda l’amico Matteo Bernasconi, il “Berna”, che ha perso la vita martedì travolto da una valanga durante un’escursione scialpinistica sul Pizzo del Diavolo, nel territorio comunale di Castello dell’Acqua.

Salini e Bernasconi nel dicembre del 2008 sono stati protagonisti di un’esperienza eccezionale in Patagonia: sono arrivati in cima al Cerro Torre dalla parete Ovest compiendo la sesta ripetizione assoluta e la prima ripetizione italiana della celebre e ormai leggendaria Via aperta dai Ragni nel 1974. Bernasconi, all’epoca 26enne, aveva deciso solo ad ottobre di tentare la salita, con soli 20 giorni a disposizione, viaggio compreso.

L’alpinista e istruttore valchiavennasco descrive il “Berna” come prudente e soprattutto molto meticoloso nei preparativi. «A tratti era quasi maniacale - dice Fabio Salini, sempre sorridendo -. Preparava nei dettagli e meticolosamente il materiale che occorreva, sapeva mettere a fuoco la gita. Ed era prudente. Ma la qualità che forse più lo rappresentava in montagna era la capacità di individuare sempre la linea da seguire. Quando si sale lungo un itinerario alpinistico, su una parete molto vasta, magari risalente agli anni Sessanta o pure prima, può essere difficile, è normale anche perdersi. Lui no, aveva un feeling incredibile con la linea da seguire, una qualità che non è da tutti».

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