«Io, “vittima” dei treni, penalizzata sul lavoro per le 600 ore di ritardo»

Una donna di Albosaggia impiegata nel Milanese«Pago 110 euro al mese per un servizio che non c’è» Una donna di Albosaggia impiegata nel Milanese «Pago 110 euro al mese per un servizio che non c’è»

«Salvateci perché veramente siamo esasperati. Non ne possiamo più». Alla nostra redazione continuano ad arrivare segnalazioni sui ritardi e sui disguidi della tratta Tirano-Milano, tornati prepotentemente da una settimana a questa parte, da quando i convogli hanno ripreso a circolare al termine dei lavori di manutenzione all’infrastruttura.

L’appello di oggi viene da Maria Cristina Paindelli, residente ad Albosaggia e oss (operatrice socio-sanitaria, nda) in un istituto convenzionato del Milanese. Una professione, la sua, particolarmente delicata all’interno della struttura ospedaliera, ora purtroppo «nuovamente messa a rischio dai ritardi e dalle soppressioni dei treni a cui vado incontro ogni mattina: pago tutti i mesi 110 euro di abbonamento, credo di aver diritto a un servizio che possa essere definito tale».

Gravi ragioni di carattere familiare giustificano il fatto per cui Maria Cristina quotidianamente, dal lunedì al sabato, debba utilizzare il treno per raggiungere Sesto San Giovanni. «Da 23 anni faccio questo mestiere, mentre è dal 2016 che sono pendolare, ossia da quando sono dovuta rientrare in Valtellina. Consideri – ha aggiunto – che in questo periodo ho accumulato oltre 600 ore di ritardo in ingresso».

Una cifra considerevole, naturalmente non imputabile alla pigrizia della dipendente – «si figuri che prima non avevo mai fatto mezzo giorno di assenza, se non durante le cure per il tumore», ci ha spiegato la stessa –, che ha avuto naturalmente delle conseguenze.

Da gennaio di quest’anno, a Paindelli è stato assegnato un turno fisso pomeridiano in un altro reparto: «e naturalmente questo mi è spiaciuto non poco. Credetemi, ho sempre fatto il mio lavoro volentieri ed essere trasferita per questa ragione non è certo bello».

Per motivi familiari, recuperare una sistemazione in zona è impensabile. Così come, «a 54 anni, con un tumore alle spalle, come posso pensare di trovare un altro posto di lavoro più vicino a Sondrio? Ecco perché, nonostante tutto, sto cercando in tutti i modi di tenere stretto il mio: se dovessi perderlo a causa dei ritardi del treno sarebbe davvero la beffa più grande».

Fatto sta che «non solo non si sa mai con certezza l’orario di arrivo, ormai il vero problema è la partenza. Per non parlare, addirittura, di quando il treno non c’è proprio». Proprio come giovedì sera, al termine di una giornata di lavoro, «quando ho scoperto a Monza della soppressione del treno delle 20.20 per la Valtellina: menomale ho fatto in tempo a prendere quello diretto a Milano Centrale e da lì, poi, tornare a casa, dove sono arrivata ben oltre la mezzanotte». Per ripartire, ancora una volta, ieri mattina, «con un quarto d’ora di ritardo durante il viaggio», ci ha detto, senza negare «la stanchezza accumulata e lo stress che cresce giorno dopo giorno».

Non dimentichiamoci nemmeno il tema della sicurezza. «Viaggiando di sera – ha concluso –, spesso mi sento a rischio». Insomma, «il pullman, in fondo, non era così male, anzi. Spero davvero che qualcosa cambi al più presto perché pensare di andare avanti così non è possibile».

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