«Io, sopravvissuto al Covid
Ora temo la catastrofe»

Maurizio Orlandi ci mette tre telefonate a raccontare la sua storia. È ancora lo strascico della malattia, a quasi sei mesi dalla guarigione

Maurizio Orlandi ci mette tre telefonate a raccontare la sua storia. È ancora lo strascico del Covid, a quasi sei mesi dalla guarigione: dopo un po’ che parla, anzi dopo un po’ che pensa, deve fermarsi, riposarsi, «come se ancora l’ossigeno non arrivasse al cervello».

D’altra parte quando il 14 maggio, a 70 anni compiuti da due giorni, l’hanno dimesso dal San Gerardo di Monza, dopo due mesi di ospedale di cui due settimane in terapia intensiva, era «una larva». Non camminava. Due mesi di fisioterapia, e il primo esercizio è stato congiungere pollice e indice. Il primo vero successo, quando è riuscito a lavarsi i denti.

Ora che sta meglio («Ma certo non come prima, e forse come prima non tornerò più»), assiste alla ripresa dell’epidemia: «Fino a un paio di mesi fa ero immune, ora non so, devo fare nuovi esami. Ma non è per me che temo: anche nei momenti peggiori la cosa più brutta non è stata la paura di morire. La mia paura riguarda l’uomo, è come se l’atteggiamento che ha determinato il nostro successo evolutivo, cioè la capacità di uscire vittoriosi dalle prove più dure, fosse venuta meno. Non c’è la capacità di assumere contromisure coordinate e in quanto tali davvero efficaci. E a quanti scendono in piazza per protestare contro le misure del governo dico che quanto prima e più radicalmente si sconfigge il virus, tanto più proteggiamo le nostre attività economiche».

E lo dice uno che dall’inizio della pandemia non ha ancora ripreso a lavorare: «E non solo perché faccio fatica a concentrarmi, ma anche perché di lavoro non ce n’è più». Orlandi è titolare di uno studio editoriale, il suo nome per anni è stato legato all’edizione italiana del Guinness dei primati, di cui è curatore e omologatore ufficiale. Lavora con la figlia Lia, e per tutti due il Covid ha segnato il crollo delle commesse. Ma non per questo trova sensati quelli che scendono in piazza contro le chiusure, anzi: «Le mezze misure non servono a nulla, perché non puoi capire davvero che effetto hanno»,

Tragedia di famiglia

Il Covid per gli Orlandi è stata una tragedia di famiglia: Maurizio si è ammalato a marzo assistendo la mamma di 94 anni, e con lui si è contagiata anche Lia, sua figlia maggiore, che gli dava il cambio al capezzale della nonna.

«Mia mamma si era infettata in una casa di riposo dove era stata ricoverata per una frattura al femore. Una struttura in cui fino al giorno prima che chiudessero completamente non c’era nessuna, dico nessuna, forma di protezione e controllo. Operatori senza mascherina e senza guanti, visitatori ammassati nelle camere, contenitori di gel vuoti. Ho chiesto più volte di riempirli, perchè temevo di contagiare gli anziani ospiti: invece siamo stati noi a portarci a casa il virus. Mia mamma è uscita che camminava da sola, un successo alla sua età, ma non ha fatto in tempo a goderselo: immediatamente ha accusato i sintomi del virus. È morta quattro giorni dopo il mio ricovero, ma a me non l’hanno detto per mesi. Anche Lia si era ammalata, in forma più lieve, ma è rimasta accanto alla nonna, da sola, facendole le iniezioni di morfina, curandosi come poteva e lottando per trovare le bombole d’ossigeno che non c’erano da nessuna parte e per farsi fare un tampone».

Per Maurizio intanto iniziava l’incubo: «Sono entrato in ospedale con le mia gambe, mi sentivo, come recitava la favoletta in quei giorni, “poco più di un’influenza”. Ma il decorso di questa malattia è molto rapido, gli effetti sono devastanti: nel giro di un giorno diventi una larva umana, febbre altissima, mancanza di respiro e di forza. Prima il respiratore con le cannule, poi la maschera totale, poi il casco, che è infernale perchè l’aria viene sparata dentro a una pressione pazzesca. E alla fine la terapia intensiva, per due settimane. Avevo tubi dappertutto, flebo, sondino, cannule, ed ero legato per non strapparle. Quando mi hanno messo il catetere ho pensato basta, mi arrendo, è come se mi fossi rifugiato in un angolo del mio cervello disconnettendomi da quello che facevano al mio corpo. Il virus ti attacca dappertutto, tutti gli organi, ed è terribile: eppure la cosa di gran lunga peggior è l’effetto mentale. Io ero preda di allucinazioni pazzesche, seriali, ininterrotte, per me erano assolutamente reali. Una era come quel film, “Ricomincio da capo”, tornavo sempre all’inizio della mia giornata. La sensazione più terrificante era quella di non poter morire, perchè tutto ricominciava. Poi mi sono convinto di avere 110 anni, era una cosa che mi faceva impazzire. Ne sono uscito due giorni prima di essere dimesso, il giorno in cui ho compiuto 70 anni: ho ricevuto una mail da un amico che mi raccontava della sua pensione, e visto che so che lui ha un anno meno di me sono riuscito a resettare le coordinate temporali. Però quando poi sono uscito e ho incontrato quel mio amico, lui mi ha detto che non mi aveva scritto nessuna mail: era stata anche quella un’allucinazione. Allora mi sono spaventato, ho pensato: qui ci sono dei danni cerebrali»

Angoscia e disperazione

L’angoscia di quelle allucinazioni Maurizio se l’è portata dietro per un po’: «Un senso di disperazione totale. Fino a poco tempo fa non riuscivo nemmeno parlare di queste cose. Non potevo leggere la notizia di un incidente o vedere un film che non fosse per bambini senza cadere in preda all’angoscia. Quando sono tornato a casa questo aspetto patologico dal punto di vista emozionale l’ho piano piano superato, ma per non correre rischi non ho voluto nemmeno leggere la mia cartella clinica».

E ora che tutto è ricominciato? Quanto è grande la paura di ammalarsi di nuovo? «In generale le notizie non sono buonissime sulla persistenza degli anticorpi. Però cerchiamo di fare una vita normale: le regole igieniche le seguivo già prima, certo non andiamo nei luoghi affollati. Mia figlia invece è molto spaventata: non vede nessuno, e non esce senza guanti, mascherina e disinfettante».

E questo stillicidio di regole, l’insofferenza ad accettarle? «Una cosa che trovo inaccettabile sono le dichiarazioni del tutto infondate buttate lì dagli esperti senza che nessuno si prenda la briga di verificarle. Dati sbagliati, e nessuno che il giorno dopo dica “ho sbagliato”. La gente rimane sconcertata e disorientata, i mezzi d’informazione tradizionali - non dico il web, dove se dici che la Terra è piatta hai un sacco di riscontri - dovrebbero prendersi la responsabilità di verificare e dire chiaramente quando una cosa è falsa».

È preoccupato? «Tanto, ma non per me. All’inizio sì, l’idea di dover ripassare da quella trafila mi era insopportabile, non ce l’avrei fatta. Adesso che un po’ ne sono uscito ho l’angoscia globale delle sorti dell’umanità, mi sconcertano certi atteggiamenti ed è assolutamente inaccettabile questo clima di polemica su qualunque cosa. Al di là del calderone in cui sono confluiti negazionisti, complottisti, cacciatori di Ufo e pure estremisti di desta, trovo inaccettabile che su una cosa su cui si sa poco oggi, si sapeva meno tre mesi fa e nulla sei mesi fa, ci sia un sacco di gente in grado di esprimere assolute certezze. Io gente così non sto nemmeno ad ascoltare cosa ha da dire. Non capisco quest’ottica da par condicio scientifica per cui si mettono le sparate di tutti: quando uno dice una cosa sbagliata - che ne so, che il virus è”clinicamente morto” - non è un’opinione. Vorrei leggere su un giornale che il tal professore ha preso una cantonata colossale».

«Io credo che se fin dall’inizio ci fossimo comportati in modo più attento e responsabile non saremmo arrivati a questa situazione. La protesta indiscriminata o la provocazione di certi personaggi che si vantano di non indossare la mascherina possono davvero portarci alla catastrofe economica, mentre se da subito fossero state adottate misure mirate avremmo arginato la situazione. Non ci salviamo dalla crisi incoraggiando comportamenti irresponsabili: vedere certi parlamentari in piazza con i no-mask è deprimente perché ci restituisce una fotografia della mancanza di responsabilità di tanti di noi, e della nostra incapacità di assumere comportamenti omogenei e progressivi. Gli unici che possono proteggerci»

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