«Don Roberto, ucciso
da un killer cinico e feroce»

Omicidio don Roberto Le motivazioni della sentenza spiegano l’ergastolo all’omicida di don Malgesini

Un assassino «cinico» ma assolutamente lucido. Un uomo che «cerca il potere sugli altri e usa la manipolazione, lo sfruttamento, l’inganno per infliggere danno o realizzare» i suoi scopi, ma perfettamente in grado di capire a portata delle sue azioni. Anzi, nel corso del processo ha dimostrato di essere «astuto» financo «logico» ancorché «maldestro». Capace di pianificare un omicidio brutale senza farsi coinvolgere emotivamente e senza portarsi dietro alcun tipo di senso di colpa.

In 52 pagine la Corte d’Assise di Como - presieduta dal giudice Valeria Costi - condensa i motivi per i quali il carcere a vita è l’unica alternativa possibile nel processo a carico di Ridha Mahmoudi, l’assassino di don Roberto Malgesini.

Una sentenza che ripercorre tutte le tappe del processo, ricostruisce le testimonianze, le prove, le parole dell’imputato stesso, ma il cui fulcro è condensato nelle ultime pagine: quelle dedicate alla capacità di intendere e di volere e quelle sulla premeditazione.

La capacità di intendere

Sicuramente la parte che caratterizzerà il ricorso in appello dell’avvocato Sonia Bova, legale di Mahmoudi, sarà quella sulla presenza - secondo la tesi difensiva - di possibili patologie psichiatriche nell’assassino di don Roberto. Su questo punto la corte d’Assise non ha alcun dubbio ed elenca i motivi per i quali l’imputato ha dimostrato di essere tante cose, ma non incapace di intendere e di volere: «Non ha alcun precedente psichiatrico e i suoi comportamenti con il prossimo sono sempre stati caratterizzati da estrema lucidità e scaltrezza; è stato descritto come arrogante e prepotente, che pretendeva il massimo dai servizi sociali e dai professionisti a cui si rivolgeva, con i quali all’inizio era accomodante, sperando di ricavarne un’utilità, poi quando non era più soddisfatto diventava minaccioso, salvo assumere l’atteggiamento della vittima quando si trovava a fronteggiare le forze dell’ordine».

Un quadro umano desolante, con una certezza di fondo: «Non c’è alcun dubbio sulla capacità di intendere e di volere al momento del fatto».

Un fatto cercato, voluto, studiato e premeditato, motivato «dal sentimento di vendetta annunciato nel memoriale» scritto di suo pugno dal killer ben prima del delitto. Delitto efferato e senza alcun dubbio volontario viste le modalità, ovvero la «reiterazione di colpi in direzione di organi vitali, con un coltello di grosse dimensioni, terminata con il tentativo di decapitazione e coltellate sul volto della vittima, già inerme, in segno di sfregio». Insomma, il carcere a vita è la sola pena possibile. E infatti la presidente dell’Assise scrive: «Nel dibattimento Mahmoudi ha mantenuto un comportamento sintomatico di totale mancanza di» pentimento e di senso di colpa, «si pensi che ha più volte dichiarato apertamente di non essere dispiaciuto per la morte di don Roberto, perché era un peccatore».

La sua vita

La sentenza si sofferma anche ad analizzare le condizioni di vita ai margini di Mahmoudi, ma anche così non trova spazi per alcuna attenuante: «È vero che negli ultimi anni ha vissuto condizioni di disagio sociale, ma non si deve dimenticare che, nella sua condizione di clandestinità, lo stesso ha ricevuto molti più aiuti dai servizi sociali e dalla Caritas rispetto alla maggior parte degli extracomunitari in situazioni analoghe». Inoltre «non è un profugo fuggito dalla Tunisia perché perseguitata» ma venuto in Italia per «una sua libera scelta, in aereo senza dover affrontare viaggi rischiosi». E anche qui «ha avuto occasioni di lavoro, è stato curato quando si è ammalato e ha avuto l’opportunità di sposare una donna italiana, che ha maltrattato». Insomma nessuna giustificazione.

Per dirla con il dottor Nicola Molteni, consulente psichiatrico del pubblico ministero Massimo Astori, «Mahmoudi cerca il potere sugli altri e usa la manipolazione, lo sfruttamento, l’inganno per infliggere danno o realizzare la sua meta» il tutto con «atteggiamenti arroganti ed egocentrici» e una assoluta «mancanza di empatia» o «senso di colpa se altri vengono danneggiati». Un «rabbioso» e «lucido» assassino. Che merita di non uscire più di carcere.

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