Van de Sfroos alle Primavere

«Nuova vita al dialetto»

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Lecco

«Da vicino nessuno è normale». Questa potrebbe essere la sintesi della vera e propria lezione tenuta martedì sera da Davide Van De Sfroos al Campus universitario del Polo lecchese del Politecnico. Terzo incontro della rassegna “Le Primavere di Lecco”, organizzata dal quotidiano “La Provincia”, quello con il cantautore e scrittore mezzegrino ha visto il tutto esaurito, con una massiccia presenza di giovani. (GUARDA IL VIDEO)

Una conferma ulteriore di quanto seguito abbia questo artista consacrato già nel 1999 dalla partecipazione al Club Tenco. Stimolato dalle domande del direttore de “La Provincia”, Diego Minonzio, e del responsabile dell’edizione lecchese, Vittorio Colombo, il Davide Bernasconi, come recita l’anagrafe, non si è tirato indietro e per due ore filate ha intrattenuto i presenti.

E stasera, venerdì, il grande appuntamento a Milano con il concerto all’ippodromo di San Siro dove per la prima volta presenterà dal vivo il nuovo album “Goga e Magoga”.

«Estinzione? Non credo»

La prima parte del suo intervento ha riguardato il dialetto ed in particolare quelle sue origini e stratificazioni che l’hanno trasformato nella lingua dei nostri padri. A chi gli chiedeva se i dialetti non siano destinati a scomparire, Van De Sfroos ha risposto che tutto è possibile, ma certo se ci sarà un’estinzione di queste parlate, non sarà a breve; soprattutto oggi che si vive in una società dai grandi “ritorni”: «Si torna a vivere in campagna; molti scelgono di fare i viticoltori quando hanno passato una vita a sgomitare per fare altro; altri riscoprono i vinili: non vedo perché anche il dialetto non possa avere una sua nuova vita, magari con tutti i cambiamenti e le contaminazioni legate a questo nostro mondo multiculturale».

C’è stata poi una parte più personale, in cui l’artista si è raccontato e ha parlato della sua giovinezza di ragazzo degli anni ’80. (GUARDA IL VIDEO)

«Anni strabici e bipolari»

«In quegli anni vivevo una sorta di destabilizzazione, di bipolarità, che faceva di me un essere irrequieto. Da una parte c’era la politica, c’erano gli amici di sinistra. Ricordo di avere suonato per una serata in favore del Nicaragua, quando non sapevo neanche dove fosse quella nazione. Dall’altra c’era la parrocchia, la chiesa, con i suoi valori. Vivevo in uno strabismo continuo; ho imparato ad ascoltare più che a sparare sentenze e alla fine ho capito che al centro del tirassegno c’ero io e l’unico modo per uscirne era imparare a ragionare con la mia testa».

Non è mancato un riferimento alle sue canzoni e alla preferenza dei suoi testi per gli “ultimi”, per quelli che in apparenza contano poco.

«Come criceti sulla ruota»

«Oggi la società viaggia ad una velocità disumana. – ha detto ancora Van De Sfroos - Siamo come dei criceti su una ruota che non si ferma mai. Gli ultimi sono una fonte d’ispirazione perché spesso sono quelli che sono scesi dalla ruota. Credo che ogni tanto sia fondamentale fermarsi ed avere il coraggio di guardarsi dentro. Se lo fai ti accorgi che gli ultimi sono tali solo per quei normali che, da bravi criceti, continuano a correre senza sapere bene dove stanno andando. Spesso quando vedo quello che accade quotidianamente, mi chiedo cosa stiamo combinando: ho l’impressione che abbiamo ricevuto in dono una Ferrari e l’abbiamo fatta a pezzettini per giocare a shanghai».

Spesso interrotto dagli applausi del pubblico, Van De Sfroos ha poi preso la sua chitarra e cantato alcuni pezzi del suo ricco repertorio. Una conclusione perfetta per una serata che ha confermato il valore umano, oltre che artistico, di un personaggio raro.

Gianfranco Colombo

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