Banca della ’ndrangheta
Arresti anche nel Comasco

Decine in carcere in Lombardia, in cella anche comaschi. Scoperta una “banca” dell’organizzazione criminale che prestava soldi e trattava con imprenditori locali arrivando a minacce e pestaggi. Infiltrazioni e affari anche in Svizzera. Coinvolto anche l’ex presidente del Varese Calcio

La Polizia ha eseguito alcune decine di arresti in Lombardia e in altre regioni italiane al termine di un’indagine nei confronti di presunti appartenenti alla ’ndrangheta operanti in Brianza. Perquisizioni e sequestri di beni mobili, immobili e società per un valore di decine di milioni di euro.

L’inchiesta, condotta dalla Squadra mobile e coordinata dalla Dda milanese, ha portato all’emissione di oltre 30 ordinanze di custodia cautelare, quattro anche nel Comasco a Figino Serenza e Locate Varesino.

E’ nella produttiva Brianza, non a caso, che le cosche della ’ndrangheta hanno pensato bene di installare una sorta di «banca clandestina» che movimentava «centinaia e centinaia di milioni di euro» attraverso un reticolo di società usate per riciclare capitali illeciti e spesso tolte dalle mani degli imprenditori ormai in crisi anche in quelle ricche terre.

E’ l’ennesimo capitolo dell’espansione della mafia calabrese al nord, in Lombardia in particolare, portato alla luce da un’inchiesta della Dda di Milano che ha fatto emergere come altro «dato nuovo e preoccupante» la stretta collusione tra l’imprenditoria locale e i clan, oltre ad una serie di estorsioni ai danni di dirigenti di società di calcio.

Con il blitz della Squadra Mobile, coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dal pm Giuseppe D’Amico, è stata smantellata, infatti, la «potentissima» “locale”, ossia una cosca in termini ’ndranghetisti, di Desio (Monza e Brianza) capeggiata da Giuseppe Pensabene, 47 anni originario di Reggio Calabria ma residente a Seveso, che si vantava di essere «una lavanderia» di denaro e che per gli altri affiliati era il «papa» o il «sovrano» o come la «Banca d’Italia» E se nelle carte dell’inchiesta viene fuori come il clan abbia cercato di riempire il vuoto prodotto dagli oltre 170 arresti in Lombardia del 2010 dell’operazione “Infinito-Tenacia”, il gip che ha firmato l’ordinanza a carico di 40 persone (21 in carcere e 19 ai domiciliari) descrive anche una vera e propria “nuova mafia”.

I «fenomeni di compenetrazione tra mafia e impresa» scrive il giudice, storicamente «confinati nelle ben note aree geografiche dell’Italia meridionale» non solo si sono estesi «in Lombardia e al nord in genere (e questo è un dato risalente nel tempo), ma soprattutto» vivono grazie a «un intenso e disinvolto connubio tra forme evolute di associazioni mafiose e imprenditori calabresi e lombardi, pronti a fare affari illegali insieme come se niente fosse»

E così tra gli arrestati figura non solo l’imprenditore edile di origine calabrese Domenico Zema, in passato anche assessore in un comune della Brianza, «uomo di storia, di fatti, di rispetto, di amicizia, di esperienza, di conoscenze» come lo definisce Pensabene. Ma anche Fausto Giordano, nato in Svizzera dove la cosca portava i soldi (che finivano anche a San Marino), altro imprenditore edile che ha il compito di «procacciare nuovi clienti e nuovi affari» Poi una serie di imprenditori e commercianti vittime di estorsioni ed usura, ma nessuno di questi, sottolinea il gip, «ha mai presentato denunzia all’autorità giudiziaria»

Non l’hanno fatto nemmeno il vice presidente esecutivo del Genoa ed ex presidente del Varese Calcio , Antonio Rosati, e l’ex dg della Spal Giambortolo Pozzi, anche loro finiti nella morsa dell’organizzazione. Nell’ottobre 2011, infatti, il clan avrebbe elargito 100mila euro alla Spal Calcio e un altro prestito di 30mila euro sarebbe stato erogato personalmente a Pozzi nel gennaio 2012, con interessi, scrive il gip, «di natura chiaramente usuraia» In un incontro a Seveso, dove la cosca aveva la sua base in una sorta di «ufficio-tugurio» Pensabene e altri del clan «ottenevano il rilascio da parte di Pozzi di 36 cambiali (...) per un importo complessivo di 198mila euro»

Rosati, invece, secondo il gip, è risultato «in rapporti di affari con Pensabene» tanto che avrebbe concordato con uomini del clan «di operare alcune speculazioni edilizie» Mentre l’ex presidente della Nocerina, Giuseppe De Marinis, sarebbe stato pestato fino al distacco della retina di un occhio per un debito usurario. Tra gli arrestati, poi, anche i cosiddetti “colletti bianchi”, come Vincenzo Bosco e Walter Alessandro La Coce, direttore e vice-direttore dell’ufficio postale di Paderno Dugnano (Milano) che avrebbero autorizzato «sistematicamente presso i loro sportelli le operazioni di prelievo di ingenti somme di denaro contante» per la cosca.

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