“La cultura perduta della yupana Inca”, lo studio matematico e sociale delle popolazioni andine

La yupana, racconta l’autore Enrico Conti, sembra essere la migliore rappresentazione sociale e politica delle popolazioni andine che adottarono questo strumento aritmetico.

Innanzi tutto: cos’è la yupana? È una scheda di calcolo , una sorta di abaco utilizzato dagli Inca, ma di cui Enrico Conti svela in quest’opera interpretazioni profonde che attraverso l’aritmetica giungono a spiegare l’organizzazione economica, politica e sociale degli Inca. Esistono due tipologie di yupana: la yupana a casetta, o archeologica, composta da un sistema di vaschette di diverse dimensioni e materiali, legno, pietra e argilla, nelle quali venivano collocate pietre e ciottoli per procedere alle operazioni aritmetiche; la yupana di Poma da Ayala è invece il disegno di una scacchiera che presenta analogie e differenze con la yupana a casetta.

“La cultura perduta della yupana Inca”, edita da Albatros, è un saggio stimolante che curiosamente indaga la struttura di una società misteriosa attraverso i suoi strumenti di calcolo, in particolare concentrandosi sulla yupana a casetta, seppur senza escludere del tutto la sua “forma piana”, di cui l’autore rivela che le soluzioni e le teorie prospettate per l’uso di questa particolare scheda di calcolo, a lui risultano “troppo europee” per riferisti a una popolazione con una cultura molto pratica e per nulla abituata ad astrazioni complesse .

È con grande dimestichezza e padronanza dell’argomento che Enrico Conti ci dimostra l’elevata specializzazione dei contabili Inca, tenendo anche in considerazione che le forme e le colorazioni di granaglie e pietruzze che venivano impiegate nel calcolo tramite la yupana potrebbero verosimilmente indicare diversi e specifici valori, che vengono attentamente analizzati dall’autore che non manca mai di collegare l’aritmetica Inca alla società in cui questa è nata e si è sviluppata, scovando connessioni intrinseche tra la matematica di quel popolo e il suo funzionamento politico, economico e sociale.

“Sono scarse le indicazioni sulle possibili modalità di utilizzo di questo strumento”, spiega l’autore riferendosi alla yupana a casetta, di cui sono stati recuperati molti esemplari diversi dall’archeologia, le cui differenze principali riguardano il numero delle elevazioni, le cosiddette “torri”, e la disposizione delle ventuno caselle. “È anche strano se si considera che, invece, per l’unica yupana di stoffa si sono fatte molte ipotesi e studi; per la verità, tanti la considerano come fosse un “tablet” dei nostri tempi, applicando gli stessi valori e sistemi di calcolo elaborati per la yupana su stoffa, sulle forme uguali o simili a quella di pietra. La mia principale obiezione però è che nessun valore e considerazione sono dati alla cultura andina antica e chi non sapesse che è un ritrovamento archeologico di un manufatto risalente a molti secoli addietro può facilmente ritenere che sia un abaco ideato da un perditempo dei giorni nostri.”

Si definisce la yupana al pari di un abaco ma le forme diverse, le dimensioni, le elevazioni e i colori delle caselle differenziano evidentemente questi due strumenti e segnalano la funzionalità della yupana, oltre che come scheda di calcolo, come strumento di conoscenza e di governo in una società nella quale ciascuno era consapevole della propria posizione e dei propri referenti; un’organizzazione sociale e politica originata da una rigida e matematica scala sociale, che Enrico Conti analizza nel suo saggio. “La cultura perduta della yupana Inca” lega tra loro due aspetti diversi, ma correlati, svelando le curiose dinamiche che intercorrono tra la matematica Inca e la sua società, la sua organizzazione aritmetica, basata su insiemi di dieci (“chunga”), cento, mille e diecimila (“unu”) unità domestiche. Non risulta alcuna indicazione in merito all’uso della yupana nell’organizzazione sociale Inca, ma l’autore teorizza che questo strumento di calcolo fosse indispensabile alla trattazioni e al censimento nell’economia e nella politica Inca: “se, per esempio, l’Inca chiedeva ad una struttura unu di fornire 1.000 soldati, sapendo che la signoria era frazionata in 1.000 unità domestiche chunga, il capo locale avrebbe potuto semplicemente chiedere a ciascuna di queste unità di contribuire con un suo soldato. L’utilizzo della yupana aveva scopi pratici e non di astratte quantificazioni; il fatto che il risultato delle percentuali non corrisponda esattamente ai valori matematici, anche senza considerare i decimali, aveva poco o nessun valore per l’organizzazione statale inca”.

Nel saggio di Enrico Conti, la yupana assume un valore che supera la semplice natura di strumento di calcolo, arrivando a incarnare alcuni dei concetti basilari dell’antica cultura andina: la dualità come unità, non come cooperazione o collaborazione, ma come trasformazione in un’unica entità; la reciprocità , necessaria nella cultura andina che non conosceva la moneta e in cui l’unico modo che avevano le famiglie e i villaggi per sopravvivere era la collaborazione e l’aiuto reciproco. Così come anche lo stato Inca doveva necessariamente avvalersi della reciprocità a livello organizzativo, che nella sua forma semplice e primitiva consisteva nell'elargizione di più o meno ricchi compensi da parte del capo, seguita dalla richiesta di disponibilità di risorse come forza lavoro per impegni militari, coltivazione e lavorazione di risorse: “la reciprocità si era così trasformata in una formalità e consisteva principalmente nella ridistribuzione di eccedenze. La piazza era il luogo della reciprocità, qui avveniva il rito in tre fasi: si iniziava con la distribuzione dei doni da parte del curaca o signore (donne, vestiti, alimenti, oggetti artistici) seguita dal banchetto comune, la musica, i balli e le bevute; si proseguiva con la “supplica” nella quale il curaca esponeva le necessità; si concludeva con lo stabilire il contributo di ciascuno dei partecipanti al progetto”.

Inoltre, l’autore rivela che, a suo parere, la yupana fosse anche un ottimo strumento per esorcizzare il caos e per mostrare l’attitudine e la legittimità dei regnanti alla gestione del potere; le società umane più antiche o isolate hanno sviluppato i propri modi per affrontare una realtà sconosciuta e ostile, domandone il caos con i propri strumenti di comprensione.

“La cultura perduta della yupana antica” è un saggio in cui la matematica incontra la filosofia, che non prevede una preparazione pregressa sull’argomento ma accompagna i lettori in un viaggio attraverso tesi certe e ipotesi da confermare, misteri svelati o che invece rimangono tali. Enrico Conti non pretende di spiegare ogni aspetto di questa realtà ancora tinta di molti aspetti ignoti , dimenticati o talvolta malintesi, e non nasconde le quelle che sono le sue personali opinioni che ha dedotto nel corso degli suoi studi in merito, preziosi proprio per via dell’interesse personale che ha guidato l’autore nella sua indagine: quello che racconta è un suo interessante approfondimento , frutto di studio e riflessioni che avvalorano l’argomento con un punto di vista nuovo e originale.

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