Gli islamici: «Diamo fastidio?
Allora ce ne andiamo»

La “moschea” di Pescarenico Parla uno dei responsabili: «Non vogliamo problemi e qui non si può stare. Fra sei mesi scade il contratto e toglieremo il disturbo. Ma su di noi è stata riportata più di una bugia»

«Non vogliamo problemi con nessuno. E qui non si può stare. Ce ne andremo fra sei mesi».

A parlare è uno dei responsabili del centro culturale “La pace” di corso Carlo Alberto. Ad Audi Mongi, nordafricano di origine, non sono piaciute per nulla le dichiarazioni dei vicini che si sono lamentati di rumori e addirittura di sporcizia. Soprattutto quella che è sembrata l’insinuazione di non avere un bagno a disposizione dei fedeli, è per Mongi infamante. E ci mostra il lavabo per i piedi che si trova all’ingresso, il lavandino e la “tazza”.

«Quante bugie»

Un bagno in piena regola insomma: «Ma come si fa a dire che i nostri fratelli orinano sui muri? Ma dove? Preghiamo qui e ci mettiamo a fare certe cose sui muri intorno? Ma neanche nel Terzo mondo. La verità è che diamo fastidio a qualcuno». Mongi non parla di episodi di razzismo o di vera e propria discriminazione, ma di un sentimento, diffuso, di fastidio: «Per questo, appena ci scadrà il contratto, che è di sei mesi, cercheremo di andarcene. Sappiamo che questo è un magazzino ma non abbiamo mai dato fastidio a nessuno. Anche le bugie sulle preghiere ad alta voce fino a tardi. Le avevamo fatte nel Ramadan di tre anni fa, e poi, visto che c’erano state proteste, abbiamo subito smesso. Non preghiamo più di notte».

Mentre parliamo con Mongi arrivano alla spicciolata, nel venerdì, giorno sacro per i musulmani, decine di fedeli. Il silenzio è totale. “Salam Aleikum” è il saluto che si scambiano. Ma non ci sono capannelli di persone che chiacchierano, nessuno si ferma fuori da questo luogo di preghiera. Nessuno disturba. La preghiera viene letta prima in arabo e poi in italiano. «Vogliamo che anche la gente qui fuori sappia quello che stiamo dicendo. Non c’è nulla da nascondere. Però, effettivamente, vedere passare tanta gente di colore, tanti stranieri, evidentemente dà fastidio. Abbiamo sempre cercato di non darne. Siamo sempre stati nel nostro. E anche il sindaco Virginio Brivio ci aveva incoraggiati a ritrovarci in un luogo di preghiera, piuttosto che stare in giro, in qualche appartamento o a casa propria, a pregare. Gli ho parlato tanto tempo fa, ma il sindaco mi era parso una bravissima persona, soprattutto molto attenta a che tutto proceda per il meglio. Ci aveva chiesto se avevamo bisogno di un aiuto».

Indipendenti

Ma la comunità musulmana è molto orgogliosa della sua indipendenza: «Guardi, qui paghiamo 600 euro al mese, ma ci autotassiamo. Chi dà 2 euro, chi ne dà 10, a seconda delle sue possibilità. E paghiamo tutto con queste offerte. Non solo: molti fratelli non hanno nulla. Come una decina di afghani che sono arrivati in Italia e lo Stato Italiano ha riconosciuto loro un permesso temporaneo di sei mesi: hanno fame, non hanno nulla, ma non possono neanche lavorare. Provvediamo noi a loro, a dar loro da mangiare, a comprare loro i vestiti…». La tensione, però, è salita, tra i musulmani di corso Martiri e i residenti. E Mongi non vuole tirare la corda. «In verità se nessuno, o quasi, si è mai lamentato, vuol dire che di fastidio non ne diamo. Ma se, comunque, diamo noia, non vogliamo creare problemi. Ce ne andremo appena possibile e appena avremo trovato un altro posto».

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