Quel garantismo interessato di Berlusconi

Ma quando un personaggio politico incappa in un guaio giudiziario dovrebbe farsi da parte

Mi sono piaciute le parole del presidente del Consiglio sulla bufera giudiziaria che sta investendo il Partito democratico. Avrebbe potuto affondare il coltello nella piaga, usando lo stesso metodo adottato nei suoi confronti in numerose occasioni. Invece si è limitato a ricordare di essere sempre stato un garantista e dunque di rimanere in attesa della conferma o no delle accuse verso amministratori e politici del Pd prima di esprimere una valutazione. Non altrettanto condivisibile è invece l’atteggiamento di chi, nonostante le gravi accuse mosse dalla magistratura, ritiene che in attesa di augurabili chiarimenti nulla debba cambiare nelle realtà amministrative oggetto degli scandali. Così comportandosi, si rafforza nei cittadini l’idea che la casta si ritiene intoccabile e inamovibile, qualsiasi  cosa succeda.

Gianfranco Merini

Il lodevole garantismo di Berlusconi è imparentato con l’accelerazione che - sulla scorta degli eventi tangentari cui stiamo assistendo stropicciandoci gli occhi - egli vuole imprimere alla riforma della giustizia, associandovi (senza condizioni) l’opposizione. Diciamo perciò con realismo del Cavaliere: apprezzabile e interessato. Meno apprezzabili altri atteggiamenti. Per esempio il negare l’autorizzazione parlamentare a procedere verso gli onorevoli indagati (è successo con il deputato del Pd Margiotta); il resistere d’alcuni degl’inquisiti ad abbandonare le cariche rivestite; il rifiutarsi a far decadere consessi amministrativi, come il consiglio comunale di Napoli, terremotati dalle inchieste. Quando un personaggio politico incappa in un guaio giudiziario, ha il dovere morale - pur essendogli dovuta la presunzione d’innocenza - di farsi da parte fin quando chiarezza definitiva non intervenga sugli addebiti mossigli; e quando un ente amministrativo è minato nella sua credibilità, deve sciogliersi nell’attesa che la ritrovi elettoralmente chi vi apparteneva o che la trovino i successori. Nessun altro comportamento è accettabile da quanti sono stati designati a lavorare in favore della comunità, e il bene della comunità debbono sempre e comunque privilegiare al proprio. Capisco tuttavia che pretendere quest’elementare rispetto del codice etico da una classe politica che tollera nella maggiore istituzione rappresentativa del Paese chi ha procedimenti penali in corso e persino chi ne è arrivato all’epilogo subendo una condanna, abbia la stessa efficacia dell’abbaiare alla luna.  Il risultato è che gli onesti della classe politica -e sono tanti- vengono immeritevolmente associati in uno spregio che colpisce tutti.

Max Lodi

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