Diciamo basta al tempo della paura

Il domani s'annuncia a tinte fosche, ma dobbiamo rimboccarci le maniche

Cara Provincia,
il Natale è arrivato e sta finendo il 2008, l’anno della Paura propriamente detta, che si distingue cioè da qualsiasi paura subalterna per l’iniziale maiuscola di rispetto.
L’onda teledemocratica ci racconta che di paura siamo ammalati e che il domani si presenta alquanto nero per tutti noi, sia per quelli che stanno giù, sia per quelli che stanno in mezzo e anche per quelli che stanno sopra, basti considerare che i forzieri statali non potranno continuare a sostenere ancora la continua crescita delle spese e che lo Stato potrebbe crollare semplicemente come un castello di carte qualora venisse meno la fiducia di coloro che comprano il suo debito. E’ la verità e non offende, viviamo momenti in cui è meglio accontentarsi di ciò che si ha, non sia mai che si perda tutto. Io penso che il bilancio delle vite gioca costantemente sul vinto e sul perdente, il problema sta nell’impossibilità umana di mettersi d’accordo sui meriti relativi di quel che si potrebbe perdere e di quel che si dovrebbe vincere, ecco perché il mondo è nello stato in cui lo vediamo.
In ogni modo, e perché non mi si accusi di dipingere tutto con i colori della parte sinistra della tavolozza, mi piace l’ipotesi che un adattamento delle nostre paure potrebbe contribuire a far tornare il culto degli incorporei valori dello spirito di cui ci siamo nutriti nel passato, quando il basso materialismo che impera oggi non si era ancora impossessato di volontà che credevamo forti e che, invece, erano soltanto l’immagine di una schiacciante debilità morale, causa prima delle nostre odierne paure.
Le cose del domani appartengono al domani, è solo questione di tempo, e se non giungeremo a vederle finché eravamo da queste parti, sarà solo perché non abbiamo vissuto abbastanza. Oggi ci tocca mantenere la speranza e trovare le forze per intraprendere una traversata in acque turbolente, una traversata che è già storica prima ancora di sapere se lo sarà veramente.

Giovanni Flematti

(p.m.) E’ difficile non vedere nuvole nere addensarsi all’orizzonte: le vedono tutti coloro che non sono riusciti ad affrancarsi dalla servitù del lavoro, che non si sono arricchiti con la finanza allegra o con la politica, che devono remare per tirare la fine del mese, che non possono evadere né contare su generosi rimborsi spese a piè di lista, pagati dai contribuenti. Forse la traversata non sarà storica, ma è opportuno che ci rimbocchiamo le maniche e cominciamo a remare: non c’è più tempo per la paura.

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