MATTARELLA E la lezione di storia italiana

Ieri Sergio Mattarella ha spalancato una finestra sul polverone all’antifascismo di questi giorni, scoppiato con la pustola del caso Scurati, spazzando via ogni ambiguità, ogni sottile e peloso distinguo, ogni polemica, ogni “benaltrismo”, facendo entrare l’aria pulita e tersa della realtà viva e vera dei fatti.

Capita sempre più spesso che il Capo dello Stato sia costretto a dare lezioni di storia che fino a poco tempo fa potevano essere date per scontate ma oggi si rivelano quanto mai necessarie. Sul fascismo abbiamo assistito alla sagra dei “se” e dei “ma”, delle precisazioni e delle equiparazioni, così che il male e il bene, i valori fondanti della Costituzione e il loro contrario, i partigiani e i “ragazzi di Salò” rischiassero di eliminarsi in un gioco a somma zero utile a riabilitare gli eredi e i nostalgici del Ventennio.

Ci ha pensato Mattarella, nel giorno della Liberazione, con le sue lezioni di storia “contundente” dedicate al regime cominciato con la marcia su Roma e concluso in piazzale Loreto, impartite nella cittadina toscana di Civitella Val di Chiana, teatro di uno dei massacri nazifascisti. Un regime “disumano” che «negava l’innegabile» attraverso una strettissima censura dei giornali (le veline del Minculpop), che «non conosceva la pietà», che educava i bambini «all’obbedienza cieca ed assoluta». Mussolini non ha fatto cose buone. Ne ha fatte però di pessime, dallo squadrismo al delitto Matteotti, fino alle leggi che consegnavano l’Italia a una feroce dittatura. Per non parlare dell’ultimo periodo cupo del Ventennio, nel pieno del gorgo della Seconda Guerra Mondiale, quando ad Auschwitz e negli altri lager le camere a gas della soluzione finale funzionavano a pieno ritmo. Il fascismo, attraverso Salò, stava da quella parte.

Il capo dello Stato non ha lasciato spazio a qualunque sottigliezza. Quello fascista è stato un regime “totalmente sottomesso” a quello hitleriano nonostante le velleità di grandezza, inginocchiato ai nazisti che «ci consideravano un popolo inferiore» in nome della superiorità razziale. Nessuno spazio viene lasciato ai revisionisti.

Possiamo senz’altro dire che quella di Mattarella è stata la celebrazione più adeguata al 25 aprile rispetto alle tante manifestazioni che si sono svolte in Italia, rovinate in molti casi da una serie di tensioni nelle quali il ricordo della lotta antifascista e antinazista si sbiadiva nella contestazione ad Israele per i suoi sanguinosi massacri sulla Striscia di Gaza. Un altro modo, questa volta da sinistra, per gettare confusione sulle responsabilità di un periodo storico ben determinato, ma con lo stesso risultato del “tutti sono colpevoli nessuno è colpevole”.

Ieri il capo dello Stato ha elencato gli orrori compiuti dal fascismo, le sue codardie, il collaborazionismo con i nazisti fino all’ultimo tragico errore della feroce repubblica di Salò, «il regime fantoccio instaurato da Mussolini sotto il controllo totale di Hitler».

Al presidente della Repubblica è stato necessario ripercorrere con crudezza la realtà storica per arrivare al cuore del messaggio di questo suo intervento per la Festa della Liberazione che non è una festa della “libertà” genericamente intesa, ma è la liberazione dall’oppressore nazifascista. L’antifascismo, ci dice Mattarella, dovrebbe far parte del dna degli italiani, è alla base della nostra Costituzione, “intimamente” antifascista come dicevano Calamandrei e Aldo Moro. Dovrebbe essere il collante dell’unità popolare. Invece un “filo nero” continua ad ammorbare la politica e la piazza. Un filo nero che ieri il capo dello Stato ha spezzato senza esitazioni.

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